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Giordano Bruno, il libero pensiero bruciato. Come oggi 422 anni fa.

“Maiori forsan cum timo­re sententiam in me fertis quam ego ac­cipiam”

ROMA – Oggi, 17 febbraio, si celebra il 422° anniversario della morte sul rogo del ben noto martire del libero pensiero, Giordano Bruno nato nel 1548 e morto come oggi nel 1600, e sulla base del monumento, a lui dedicato ed eretto a Campo dei Fiori il 9 giugno 1899, ci sono gli effigi di altri otto “martiri del libero pensiero”.  Il filosofo come noto venne condannato a morte dalla Inquisizione.

Il monumento a Giordano Bruno (1548-1600), filosofo e scrittore condannato dalla Inquisizione, fu eretto in Campo de’ Fiori il 9 giugno 1889 nel luogo del rogo avvenuto il 17 febbraio del 1600.

Furono due  i comitati universitari internazionali, costituiti rispettivamente nel 1876 e nel 1884 con l’adesione di uomini di cultura di tutta Europa, che  raccolsero la somma necessaria per la realizzazione del monumento.

Nel 1877 il Comune di Roma non fece obiezioni sulla scelta che ricadde in piazza  Campo de’ Fiori, concedendo anche un modesto contributo; nel 1887, tuttavia, quando in Campidoglio la maggioranza era clericale, la collocazione del monumento assunse il significato di una battaglia politica per i rappresentanti degli ideali liberali e anticlericali ed il partito liberale se ne servì anche per mobilitare l’elettorato in vista delle elezioni comunali del 1888.

L’ideazione del monumento venne affidata allo scultore Ettore Ferrari (1845-1929) che presentò nel 1879 una prima versione della statua, raffigurante Giordano Bruno in atteggiamento di sfida davanti al tribunale dell’Inquisizione. Il bozzetto non venne accettato e pertanto nel 1887 fu presentata la proposta poi realizzata con Giordano Bruno raffigurato in atteggiamento di filosofo, raccolto in se stesso, con le mani incrociate sul suo libro chiuso e con lo sguardo dritto davanti a sé. Sul basamento in granito sono otto medaglioni in bronzo con i ritratti di liberi pensatori e tre riquadri con gli episodi più importanti della vita di Bruno. La statua, realizzata in bronzo, venne fusa presso la fonderia Crescenzi di Roma.

“Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla“.

Giordano Bruno si rivolse con queste parole al Tribuna­le dell’Inquisizione che lo condan­nava a morte per eresia. Non aveva abiurato e la sentenza, che gli venne letta l’8 febbraio 1600, era ormai ir­revocabile. Nove giorni piu’ tardi il filosofo originario di Nola,  venne dunque bruciato vivo in Campo de’ fiori a Roma, dove fu portato con la bocca ostruita affinchè non pronunciasse parola.  E nell’anniversario del suo martirio sono molte le organizzazioni che gli rendono omaggio. A distanza di tantissimi anni, oggi più che mai il libero pensiero torna ad essere un protagonista ma di moderne ed attualizzate ostruzioni e repressioni che vanno al passo con i tempi.

Il coraggio apparentemente passivo, ma intriso di significato morale, umano ebbe a denotare un coraggio che ancora oggi gli consente di vivere nel ricordo di molte generazioni, e di menti che illuminate da un pensiero aperto ne sanno cogliere ancora oggi l’essenza di un sacrificio inumano.

Oggi non si bruciano le persone in strada, ma viviamo comunque una differenziazione sociale, che tende a reprimere chi non la pensa in un determinato modo, e la giustificazione viene comunque coperta dall’interesse della salute pubblica. Giordano Bruno ci insegna la dignità, la difesa allo stremo di un pensiero piu’ o meno discutibile, ma che va comunque rispettato. A prescindere. Rispetto al sistema però, pur nella giustezza di principi e delle cose, nulla si può in controtendenza se non ragionarne ed applicarne i relativi principi per la propria dignità personale.

Ma vediamo un pò la storia di questo personaggio a cui son intitolate anche molte logge massoniche:

Dal carcere Tor di Nona, dove si trovava rinchiuso, il 17 febbraio del 1600 Bruno percorse a piedi via dei Banchi Nuovi e poi via del Pellegrino fino al luogo del sup­plizio, dove lo attendeva il boia, nel punto preciso dove oggi sorge il suo monumento. Intorno una folla di gente, accorsa ad assistere allo spet­tacolo atroce della sua morte in una città che festeggiava l’anno giubila­re. A provocarne l’arresto era stata la denuncia per eresia presentata al Tribunale dell’Inquisizione vene­ziano il 23 maggio 1592 da Guido Mocenigo, appartenente ad una delle piu’ potenti famiglie della città lagunare, che ospitava il filosofo al quale aveva chiesto di insegnargli le sue tecniche di memoria. Il pro­cesso si celebrò subito dopo. Bruno subì sette interrogatori, al termine dei quali chiese perdono alla corte appellandosi alla sua clemenza. Ma il Sant’Uffizio domandò al senato veneziano di avocare a sé la causa in considerazione della gravità delle accuse e così Bruno il 27 febbraio 1593 venne trasferito a Roma.

Nell’aprile del 1596 venne addirit­tura istituita una commissione com­posta da sei teologi con il compito preciso di valutare i testi del dome­nicano e di estrapolarne tesi e po­sizioni che potessero dimostrarne la colpevolezza. Nel 1597 sui libri di Bruno calò la scure della censura. È in questa fase che viene chiamato a cercare una possibile via d’uscita all’impasse in cui versa il procedi­mento, il cardinale Roberto Bellar­mino, che sarà poi anche il grande protagonista del caso di Galileo Ga­lilei.

Teologo gesuita e futuro santo, fu lui ad avere l’idea di sottoporre a Bruno alcune proposizioni sicura­mente eretiche estratte dagli atti del processo chiedendo all’imputato di confermarle o abiurarle. Un verba­le della Congregazione dell’Uffizio della Santa Inquisizione attesta che alla data del 21 dicembre 1599, Bru­no, visitato in carcere, dichiarava quod non debet nec vult rescipi­scere, et non habet quid recsipiscat nec habet materiam rescipiscendi, et nescit super quod debet rescipi­sci (che non deve né vuole pentirsi e non ha di che pentirsi né ha materia di pentimento, e non sa di che cosa debba pentirsi).

Il 20 gennaio 1600 il Papa ordinò che venisse emessa la sentenza, che fu letta a Bruno lo stesso giorno in cui venne condotto al rogo.

Venne giusti­ziato, in sostanza,  perché aveva osato teorizzare che Dio è nella natura di tutte le cose e la terra è dotata di un’anima immortale, così come l’essere uma­no e le stelle hanno natura angeli­ca,  che il valore dell’uomo non è nel possesso della verità né nel suo saperla imporre ma nella costante ricerca di essa attraverso quell’eroi­co furore che rende libera l’umanità.

Giordano Bruno, da sempre è stata una icona indiscussa di libertà, ed  entrò a far parte, insieme a Dante Alighieri, dei miti fondanti del nuovo stato italiano, laico e uni­tario, nato dal Risorgimento, dopo la ripubblicazione delle sue opere voluta dal ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis e dal gran­de successo che esse riscossero tra i giovani universitari che nel 1876 lanciarono l’idea di un monumento da intitolargli.

Fu non a caso lo sculto­re massone Ettore Ferrari,  a realizzare la statua che sorge sulla piazza dove Bruno fu arso vivo, e che da allora è un faro nella notte che ci indi­ca la via della ricerca della verità. Lunga e travagliata fu comunque la realizzazione del monumento. L’inaugurazione ebbe luogo il 9 giugno 1889. Un corteo di duemila persone sfilò dalla stazione Termini fino a Campo de’ Fiori.

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