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Giordano Bruno, 423 anni fa la condanna a morte del libero pensiero

Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam

Editoriale – L’8 febbraio del 1600 Giordano Bruno, venne tradotto al cospetto dei Cardinali inquisitori e dei collegio dei Consultori,  e venne costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte al rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell’ascoltarla”). Dopo alcuni giorni, e precisamente il 17 febbraio Bruno venne condotto a morte bruciato. La sua effige a perpetua memoria regna su piazza di Campio  dei Fiori a Roma, ove il filosofo libero pensatore venne oscurato per sempre. Il monumento venne eretto nel 1889. Bruno era un intellettuale scomodo che girava l’Europa, definito “ostinatissimo eretico”, per i cattolici romani di fine Cinquecento, divenne poi il “martire per eccellenza  della nuova e libera filosofia”, per gli intellettuali italiani della seconda metà dell’Ottocento. Giordano Bruno era partenopeo, nacque a Nola nel 1548.

La storia:

Diciassettenne, Filippo Bruno veste l’abito domenicano a Napoli e prende il nome di Giordano. Sacerdote nel 1572, dottore in teologia tre anni dopo, animato da un’insaziabile passione per lo studio, Giordano Bruno diviene in breve tempo uno dei più brillanti intellettuali d’Europa. Ma la passione per la verità lo pone inevitabilmente in contrasto con la cultura dogmatica del tempo (un’atmosfera oscurantista e retriva di cui sarà vittima lo stesso Galilei, qualche decennio dopo). Inizia così un lungo peregrinare: da Napoli, dove venne aperto un processo a suo carico per eresia, si spostò a Roma. Nel 1576 Bruno abbandona l’abito domenicano e fugge nel Nord Italia, spostandosi da una città all’altra: Genova, Savona, Torino, Padova, Bergamo. Insegna astronomia a Noli (Liguria), pubblica i suoi primi libri a Venezia. Lo troviamo poi a Ginevra (dove aderisce solo per breve tempo al calvinismo) e a Tolosa (dove ottiene la cattedra di filosofia). Quindi si reca a Londra, dove incontra la regina Elisabetta e compone alcune tra le sue opere più importanti: La cena delle ceneri, che contiene la difesa dell’eliocentrismo copernicano; De l’infinito universo et mondi, in cui presenta la sua teoria di un universo infinito, composto da innumerevoli mondi; Lo spaccio della bestia trionfante e Degli eroici furori. Dopo aver suscitato le ire dei teologi di Oxford, soggiorna in Francia, Germania (insegna a Wittenberg, con la forte opposizione dei calvinisti), a Praga, Helmstedt, Francoforte e infine a Venezia, invitato dal nobile Giovanni Mocenigo che spera di apprendere da Bruno l’arte della memoria, quella “mnemotecnica” di cui il filosofo nolano è maestro. (bibl.)

Nel maggio 1592 Mocenigo consegna all’Inquisitore di Venezia un’accusa di eresia nei confronti di Bruno, che viene subito arrestato. L’anno successivo viene estradato a Roma, dove inizia un processo che durerà sette anni. Difende tenacemente le proprie tesi, in lunghi ed estenuanti interrogatori, probabilmente sottoposto a tortura, rifiutando di abiurare. Il tribunale del Santo Uffizio lo condanna infine alla pena capitale, in quanto eretico “formale, impenitente, pertinace”;  i suoi libri sono messi all’Indice e condannati al rogo. Giordano Bruno viene arso vivo a Roma, in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio 1600.

Ma quali erano queste teorie così ritenute particolarmente pericolose e tali da condannare al rogo sia i libri che le contenevano, sia il loro autore? Queste le sintesi di alcuni pensieri:

  • L’universo è infinito. Se Dio è la causa dell’universo, e Dio è infinito, l’universo non può che essere infinito. Se l’universo è infinito, non ha senso parlare di sopra e sotto, destra e sinistra, centro e periferia, e innumerevoli sono i pianeti abitati.
  • Se Dio è infinito, non ha limiti. Dio è il principio razionale insito nelle cose, quindi coincide con la natura (è immanente, non trascendente). Tutto è animato. Si tratta di una concezione panteistica dell’universo.
  • Difesa della teoria copernicana. Bruno quindi ridicolizza la visione geocentrica aristotelico-tolemaica: la Terra e l’uomo non sono al centro dell’universo. Fa notare che “Non più la luna è cielo a noi, che noi a la luna” (se si potesse andare sulla Luna, vedremmo la Terra nel cielo come fosse la Luna).
  • La religione (il “dogmatismo dei teologi”) e lo studio della natura (la “libertà dei filosofi”) si collocano in ambiti diversi, ma possono convivere: la religione ha un’utilità pratica e politica, serve a educare e governare “i rozzi popoli”, mentre la ricerca filosofico-naturalistica non ha bisogno di “fede”.
  • Esaltazione del lavoro umano, sia manuale che intellettuale. L’ozio e la rassegnazione sono i peggiori vizi dell’uomo. A differenza degli altri esseri, l’uomo possiede l’intelligenza e la mano che gli permettono di modificare la natura e continuare così l’opera di creazione divina (creando manufatti e opere dell’ingegno, l’uomo si avvicina all’opera creatrice di Dio). L’uomo è quindi superiore a tutti gli altri esseri non perché dotato di anima, ma semplicemente in quanto è fornito di determinate caratteristiche fisiche (mano e intelligenza).
  • Lo studio della natura è la più alta aspirazione dell’uomo. La passione per la conoscenza e la verità sono paragonati a una passione amorosa, un “eroico furore”.

Tali tesi fecero di Giordano Bruno un innovatore della filosofia rinascimentale e un precursore della modernità. Spirito critico e spesso ribelle, insofferente verso qualsiasi forma di dogmatismo, testimone di verità, ha consacrato la propria vita alla studio, alla ricerca e alla difesa della libertà di pensiero. Una libertà che all’epoca era repressa e che oggi invece è più attuale che mai e quella statua che ancora si impone è il segno della libertà offuscata, della ragione scomoda repressa e cancellata dalla morte indotta da quella Inquisizione che di Santo aveva ben poco. Probabilmente si volle dare un segnale forte bruciandolo vivo, quasi come a costituire un monito per eventuali altri che avessero, dopo di lui, preteso di diffondere un pensiero fuori dal comune, dal rigore. Un rigore però vissuto in apparenza, ma non nelle segrete stanze del 600, dove il potere veniva esercitato nelle sue forme più becere, come per l’appunto la condanna al filosofo.

Molto di più andrebbe oggi capito su quel sacrificio che segnò comunque una epoca. Il solo fatto che ancora oggi a distanza di tanti anni Bruno sia attualizzato ed attualizzabile, e che i suoi concetti siano interpreti, anche prescindendo dalle convinzioni, su quanto il libero pensiero, il libero arbitrio costituissero non solo una filosofia di vita, ma l’essenza della libertà per l’uomo. Che all’epoca non poteva parlare se non in riga con i poteri del coro. La frase di Giordano Bruno, che ebbe a pronunciare i presenza dei giudici fece tremare coscienze, ma non impedì che un brutale omicidio venisse compiuto in pubblica piazza.

Oggi quella statua dall’aspetto oscuro, brilla ancora oggi più che mai per la libertà a perpetua memoria!

 

 

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