Riforma dell’ordinamento forense: così non va
Le posizioni dell'associazione nazionale forense di Pescara
L’avvocatura italiana aspetta da oltre dodici anni una riforma della sua legge professionale,
poiché la Legge 31 dicembre 2012, n. 247 presentava fin dal momento della approvazione un
gran numero di criticità e in questi anni non è di certo invecchiata bene.
Quella legge professionale fu approvata nell’ultimo giorno della XVI legislatura, il 21 dicembre
2012, non essendovi tempo per interventi migliorativi a causa dell’imminente termine della
legislatura. E tutti coloro che erano presenti ricorderanno in quale rocambolesco modo venne
approvata nel Congresso di Bari, alla presenza dell’allora Presidente del Senato Schifani, senza
che fosse possibile una reale discussione parlamentare sulle modifiche che sarebbero state
indispensabili per migliorarne l’impianto.
E sempre a Bari, nella evidente consapevolezza della inadeguatezza di quel testo, venne
approvata all’unanimità una mozione che chiedeva che subito dopo le elezioni il nuovo
Parlamento mettesse subito mano ad una revisione della legge professionale, dato che il testo
in discussione appariva insoddisfacente per molti aspetti e quindi necessitava di una serie di
modifiche che tutte le componenti dell’avvocatura ritenevano indispensabili.
A distanza di oltre dodici anni gli interventi correttivi auspicati da tutta l’avvocatura non sono
mai stati realizzati, sono state approvate solo alcune modifiche limitate e non organiche. Il testo
che viene presentato oggi, però, di certo non rappresenta la risposta che l’avvocatura aspettava,
dato che esso continua a riproporre le incrostazioni corporative presenti nella legge vigente e –
se possibile – riesce persino a peggiorarla.
Orbene, il testo di proposta di riforma dell’ordinamento forense presentato in occasione
dell’adunanza del 19 marzo 2025 appare non condivisibile nella sua impostazione generale, nel
metodo e nel merito. Il dato più preoccupante è che parrebbe volersi un confronto
parlamentare, ma non un confronto con i destinatari della riforma. Di fatto riducendo il prossimo
Congresso Forense di Torino ad un film già visto.
Le proposte formulate su taluni aspetti determinanti dell’ordinamento e della professione
forense destano molte perplessità.
Così, ad esempio, in tema delle forme di esercizio della professione. La proposta di nuova legge
professionale – al pari della vecchia – sposa un approccio ispirato ad una visione ottocentesca
della professione, interamente concentrata sulla difesa in giudizio. Manca il minimo accenno
alla tutela degli interessi fuori dalla giurisdizione, salvo il cenno ai procedimenti amministrativi
di natura contenziosa e, più in generale, ai modi di svolgere la professione che non siano
ascrivibili alla funzione dell’avvocato come sacerdote del processo.
Le aggregazioni professionali rappresentano uno strumento necessario per lo sviluppo e la
crescita delle libere professioni. Purtroppo, la proposta di riforma sposa ancora una volta un
modello superato e scarsamente dinamico di disciplina delle aggregazioni. La principale forma
di aggregazione professionale forense che viene prevista è ancora quella della “associazione
2
professionale forense” (art. 14): un ferrovecchio, che dovrebbe essere eliminato utilizzando gli
ordinari strumenti di aggregazione esistenti per tutte le altre attività economiche.
In tema di incompatibilità della professione di avvocato è da tempo avvertita l’esigenza di una
revisione della disciplina alla luce dell’evoluzione della professione e dei cambiamenti sociali,
che impongono agli avvocati di estendere le loro attività anche a settori limitrofi rispetto al
perimetro classico delle attività forensi, senza incontrare limiti irragionevoli che li pongano in
situazioni di svantaggio competitivo rispetto ad altri attori presenti sul mercato. La proposta di
riforma mantiene un’impostazione eccessivamente restrittiva del regime delle incompatibilità e
non è sotto questo profilo condivisibile. Occorrerebbe invece rimuovere tutte quelle limitazioni
irragionevoli che pongono gli avvocati in situazioni di svantaggio competitivo rispetto ad altri
professionisti e attori presenti sul mercato, con una radicale revisione della normativa delle
incompatibilità con la professione di avvocato.
La proposta di riforma contiene un ampliamento dell’ambito delle attività esclusive degli
avvocati che verrebbe esteso anche all’assistenza e rappresentanza “nei procedimenti
amministrativi a carattere contenzioso” e anche alla “attività di consulenza e assistenza legale,
svolta in modo continuativo, sistematico, organizzato e dietro corrispettivo” (art. 4). Sebbene
queste proposte siano animate da un chiaro favor per la professione forense, tuttavia, appaiono
alquanto velleitarie e inidonee ad incidere in modo concreto sul mercato delle professioni.
La proposta di riforma introduce una nuova formulazione della norma relativa alla pubblicità
informativa dell’avvocato di portata restrittiva. Nella disposizione proposta si prescrive che la
pubblicità sia solo finalizzata alla “tutela dell’affidamento della collettività” e non, quindi, alla
libertà del professionista di promuovere le sue attività. La proposta di riforma così come
concepita realizzerebbe una grave regressione anti-competitiva rispetto all’attuale assetto
normativo, sostanzialmente riportando l’orologio dell’avvocatura indietro di molti decenni.
Dovrebbe invece essere preservato il diritto degli avvocati ad offrire informazioni sull’esercizio
delle loro attività professionali, come strumento promozionale e di corretto funzionamento del
mercato.
La proposta di riforma non contiene alcuna disposizione, neanche che in forma indiretta, circa i
il tema dell’uso di strumenti di intelligenza artificiale nella professione forense. Questa
omissione è sorprendente, visto che vi sono numerosi deliberati approvati dal XXXV° Congresso
Nazionale Forense che chiedono l’adozione di misure tese a garantire il rispetto dei principi e
dei valori costituzionali nello sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale nel sistema giustizia e
la garanzia dei principi di trasparenza, equità, autonomia e indipendenza di tutti i soggetti che
partecipano alla giurisdizione.
In tema di genere nella professione desta perplessità la scelta di declinare unicamente al
maschile il testo della riforma che, lungi dal tenere in considerazione il fatto che le colleghe
rappresentano una parte considerevole degli iscritti agli albi, semplicemente le dimentica o,
peggio, le rimuove. Appare quasi poetico il richiamo quale (evidentemente) organo consultivo
del CPO rispetto all’operato del COA richiamato dall’art. 51 che rende ancor meno utile questa
istituzione.
3
Il fenomeno della monocommittenza, ossia dell’avvocato che svolge la sua prestazione
professionale in forma di collaborazione con un altro avvocato, oppure uno studio legale
(organizzato come associazione o società fra professionisti), in assenza di propri clienti, di una
propria struttura organizzativa e in una posizione di sostanziale dipendenza economica, è
fortemente radicato in Italia. I rapporti CENSIS commissionati da Cassa Forense stimano che il
numero di avvocati che svolgono la propria attività quali collaboratori in regime di
monocomittenza si attesti almeno sul 15% del totale complessivo (ossia oltre 30.000 avvocati in
regime di monocomittenza “pura”).
L’ANF propone l’eliminazione dell’incompatibilità fra esercizio della professione forense e lavoro
dipendente limitatamente agli avvocati che svolgano attività di lavoro dipendente presso lo
studio di un altro avvocato o associazione professionale o società tra avvocati o
multidisciplinare; l’introduzione delle garanzie proprie del lavoro subordinato a favore
dell’avvocato dipendente, con limitazione della tutela reintegratoria in caso di licenziamento; la
previsione di un sistema di tutele a protezione dell’autonomia dell’avvocato dipendente
nell’esercizio dell’attività professionale; previsione dell’obbligo di forma scritta del contratto di
collaborazione professionale continuativa dell’avvocato, in favore di un altro avvocato, di
associazione professionale o società tra avvocati l’applicazione, in quanto compatibili, delle
tutele previste dal cosiddetto Jobs Act del lavoro autonomo.
Dulcis in fundo, la questione dell’impostazione della riforma ordinamentale in modalità del
tutto centralistica, inadeguata alle esigenze di una moderna avvocatura. Il Consiglio Nazionale
Forense, organo elettivo di secondo grado (con elettorato attivo riservato ai soli consiglieri degli
ordini circondariali), veste funzioni giurisdizionali, regolamentari ed amministrative affidate ai
medesimi consiglieri, senza alcuna reale separazione interna di funzioni. Ciò rende l’attuale
governance dell’avvocatura incompatibile, tra l’altro, con il dettato dell’art. 111 della
Costituzione (e con i Trattati dell’Unione Europea). Il testo di proposta di riforma mantiene
questa impostazione ed anzi la aggrava attribuendo al CNF nuovi compiti e accrescendo la
commistione di ruoli.
E’ da ritenere che non sia rinviabile una riforma complessiva in senso democratico e
partecipativo, incentrata su una ridefinizione della governance che passi dalla separazione dei
poteri e delle funzioni giurisdizionali, regolamentari e amministrative, attualmente tutti in capo
ad un unico organo, al fine di tutelare l’autonomia, l’indipendenza, l’imparzialità e la terzietà
della giurisdizione disciplinare, provvedendo quantomeno ad istituire in seno al Consiglio
Nazionale Forense una sezione amministrativa ed una sezione giurisdizionale e prevedendo che
ciascun consigliere possa fare parte di una sola delle due sezioni, con divieto di passaggio da
una sezione all’altra per l’intero mandato. Nella proposta di riforma non vi è traccia di ciò.
Voci critiche al progetto di riforma sono giunte da molte parti e non solo dal fronte associativo.
Hanno evidenziato dissensi sia di forma che di sostanza anche vari COA, ad esempio quelli della
Toscana, Bergamo etc. Staremo a vedere!