Prove tardive, ammesse in appello se già depositate in primo grado
La documentazione prodotta nel giudizio precedente è acquisita in modo automatico e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione e il ritardo di presentazione è quindi sanato
Roma – La produzione di nuove prove o nuova documentazione in appello, sebbene consentita ex articolo 58 Dlgs n. 546/1992 (Disposizioni sul processo tributario), deve avvenire, ai sensi dell’articolo 32 dello stesso decreto, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza.
L’inosservanza di questo termine è però sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, poiché nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione ivi prodotta è acquisita automaticamente e “ritualmente” nel giudizio di impugnazione. Così si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10211 del 14 aprile 2025, in tema di contenzioso tributario ed avallando le tesi dell’Amministrazione finanziaria.
La vicenda e il ricorso in Cassazione
L’Agenzia delle entrate-Riscossione emetteva e notificava nei confronti di una contribuente una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria relativa a plurime cartelle di pagamento e diversi avvisi di accertamento esecutivi.
Il preavviso di iscrizione veniva impugnato dalla stessa contribuente dinanzi la competente Corte di giustizia tributaria di primo grado, contestando vizi procedimentali e di merito, anche in relazione all’asserita invalidità della notificazione degli atti presupposti.
I giudici di merito respingevano, però il ricorso, reputando corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria.
Avverso tale decisione, la contribuente proponeva, dunque, appello dinanzi la Corte di giustizia tributaria di secondo grado per il Veneto, rinnovando le proprie doglianze contro gli atti del Fisco.
I magistrati d’appello davano ragione alla parte privata, riformavano la decisione di primo grado e annullavano gli atti dell’Agenzia delle entrate-Riscossione, ritenendo che l’Amministrazione finanziaria avesse tardivamente prodotto la documentazione relativa alla notificazione degli atti prodromici.
In particolare, i giudici veneti accoglievano il ricorso della contribuente ritenendo che l’Agente per la riscossione non avesse provato la regolare notificazione degli atti prodromici, cartelle di pagamento e avvisi di accertamento esecutivi, in quanto la documentazione era stata depositata tardivamente, tanto nel primo grado del giudizio quanto in quello di appello.
Stando così la vicenda processuale, l’Agenzia decideva, dunque, di impugnare la decisione di merito dinanzi la Corte di cassazione, affidandosi ad un unico motivo di ricorso con il quale veniva contestata la nullità della sentenza impugnata, in conseguenza della violazione degli articoli 24,25,32 e 58 del Dlgs n. 546/1992, nonché degli articoli 115 e 116 del codice procedura civile, per avere i giudici di merito affermato l’inutilizzabilità della documentazione prodotta in giudizio dall’Agente della riscossione fin dal primo grado del processo.
Infatti, a giudizio della parte pubblica, la documentazione prodotta in primo grado doveva ritenersi già acquisita al giudizio di appello, con la conseguenza che i giudici di merito erano tenuti ad esaminarla, a verificare la regolarità della notificazione degli atti prodromici, procedendo, quindi, all’esame nel merito del ricorso.
La decisione della Corte
Chiamati a pronunciarsi definitivamente sulla controversia, i magistrati di piazza Cavour hanno ritenuto corrette le argomentazioni avanzate dall’Amministrazione finanziaria.
La Corte di Cassazione ha innanzitutto ricordato, richiamando anche le proprie precedenti pronunce n. 24398 del 2016 e 5429 del 2018, come in tema di contenzioso tributario, la produzione di nuovi documenti in appello, sebbene consentita a mente dell’articolo 58 del Dlgs n. 546/1992, debba avvenire, ai sensi dell’articolo 32 dello stesso decreto, entro venti giorni liberi antecedenti l’udienza con la precisazione, però, che l’inosservanza di detto termine è sanata ove il documento sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado. E questo perché, hanno esplicitato i giudici di piazza Cavour, nel processo tributario i fascicoli di parte restano inseriti in modo definitivo nel fascicolo d’ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza, senza che le parti abbiano la possibilità di ritirarli, con la conseguenza che la documentazione prodotta è acquisita automaticamente e ritualmente nel giudizio di impugnazione.
Non sono dunque condivisibili, le asserzioni dei giudici veneti di merito secondo le quali avendo l’Amministrazione finanziaria prodotto tardivamente la documentazione relativa alla notificazione sia in primo che in secondo grado, la stessa era da considerarsi processualmente inutilizzabile.
La documentazione, infatti, per quanto sopra visto è da ritenersi legittimamente acquisita in sede di gravame, e la Corte di giustizia tributaria di secondo grado avrebbe dovuto esaminarla pienamente.
Dunque, definitivamente pronunciandosi sulla controversia, la Corte di Cassazione, confermando le tesi del Fisco, ha statuito che l’inosservanza del termine di venti giorni per la produzione di nuove prove e documenti in appello è sanata ove il documento stesso sia stato già depositato, benché irritualmente, nel giudizio di primo grado, ed ha cassato, di conseguenza, la decisione impugnata, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto perché proceda a nuovo giudizio.