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Referendum? No grazie. Gli italiani disertano le urne, l’opposizione evapora, e Meloni incassa senza muovere un dito

Editoriale di Carlo di Stanislao

Un tempo ci si commuoveva per le battaglie referendarie. Oggi si rischia di non accorgersi nemmeno che ci siano state. L’ultimo referendum – su giustizia, lavoro, autonomia, o qualsiasi altra cosa fosse – è finito come la maggior parte delle buone intenzioni italiane: in un nulla di fatto.

L’affluenza? Una disfatta annunciata: sotto il 25%, in alcune città meno di quanto basta per aprire un torneo di bocce. Non si è raggiunto il quorum, ma si è toccato il fondo. E mentre i promotori si aggrappavano all’ultima speranza, gli italiani erano altrove: al mare, al centro commerciale o semplicemente a casa, stanchi di promesse che evaporano più in fretta delle urne.

Il messaggio è chiaro: non è che gli italiani non vogliono partecipare. È che non ci credono più.

La crisi della partecipazione è diventata la vera emergenza nazionale, ma guai a nominarla: nei talk si preferisce parlare di armi, influencer e gaffe. E intanto la democrazia diretta scompare, tra l’indifferenza generale e il disinteresse istituzionale. Non è disaffezione: è una secessione silenziosa del cittadino dalle istituzioni.

Un’opposizione da salotto

Chi avrebbe dovuto suonare la sveglia? L’opposizione, ovviamente. Ma il risultato è stato un’eco ovattata. Il Partito Democratico ha prodotto più distinguo che voti, il Movimento 5 Stelle ha sussurrato qualcosa tra un post e un’intervista, mentre la sinistra radicale si è divisa su cosa fare prima ancora di capire perché farlo.

Un fronte disorganico, velleitario, in crisi espressiva e strategica. Il referendum poteva essere l’occasione per tornare a parlare al Paese. Si è rivelato, invece, uno specchio rotto: non riflette nulla se non la frattura ormai irreparabile tra chi fa politica e chi dovrebbe ascoltarla.

Il risultato? Il silenzio. L’unico rumore è quello dell’opposizione che affonda nella propria irrilevanza. Non si tratta solo di una sconfitta elettorale, ma di un’estinzione narrativa: non c’è più nemmeno chi sappia spiegare perché sarebbe importante esserci.

Il sindacato si guarda allo specchio

E i sindacati? Presenti, a tratti. La CGIL ha tentato qualche mossa, ma senza né risonanza né seguito. Altri apparati sono rimasti nel limbo tra l’indignazione e la riunione organizzativa. Quello che una volta era un motore civile oggi assomiglia a un ufficio stampa con poca stampa.

La partecipazione popolare non si costruisce con gli slogan: serve credibilità. E oggi, la percezione diffusa è che il sindacato abbia perso la presa sulla realtà, sulla rabbia, sulla carne viva del Paese. Una volta portavano in piazza un milione di persone. Oggi non riempiono nemmeno i pullman.

Giorgia, l’unica che non fa nulla e vince tutto

Mentre tutto questo succede, Giorgia Meloni sta lì. Non dice una parola, non muove una pedina. Non le serve. Perché quando intorno a te si spengono tutte le luci, anche una candela sembra un faro.

Non è che Giorgia vinca. È che non perde mai, semplicemente perché nessuno la sfida. Il melonismo non cresce per consenso: cresce per assenza di attrito. È il vuoto che lo alimenta. Quando l’opposizione si auto-sabbota e la partecipazione evapora, il potere si solidifica. Il suo governo diventa l’unico vero teatro dove succede qualcosa. E anche se non succede niente, basta l’eco del nulla.

Il vero pericolo non è il populismo. È il monopolio del presente. Se non c’è alternativa, ogni governo diventa eterno.

Italia, dove vai?

Se nel 2016 il referendum costituzionale fece cadere Renzi, oggi nessuno cade. E questo, paradossalmente, è il dato più grave. Perché non è in discussione solo una riforma, ma il senso stesso della democrazia partecipativa.

Finché il voto sarà percepito come un rituale inutile, il Paese continuerà a svuotarsi dall’interno. E chi comanda, potrà farlo indisturbato. Non serve repressione: basta abitudine. La stabilità, in assenza di confronto, si trasforma in marmo. E il marmo, si sa, non respira.

Il futuro potrebbe non essere autoritario. Potrebbe essere peggio: assolutamente, totalmente vuoto.

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