Ricominciare a vivere dopo una relazione tossica: intervista a Sabrina Cionini sul libro “Una mattina come tante”

"Anche quando sembra che tutto sia nero, se si guarda bene si trova sempre un piccolo spiraglio di luce che ci può aiutare a trovare la strada giusta da percorrere per vivere la vita con pienezza autentica".

Barbara è una giovane donna, bella, socievole e piena di idee, con alle spalle un’infanzia difficile, a causa del rapporto disfunzionale e violento dei genitori che la fa crescere in un clima anaffettivo e di paura continua. Inoltre, Francesca, la sorella maggiore di Barbara, ha una grave disabilità che la rende non auto sufficiente e che catalizza le poche energie affettive della madre, succube del marito e dei suoceri con i quali vive, oscurando del tutto le necessità soprattutto affettive di Barbara che si sente invisibile.

Appena adolescente, Barbara, innamorata dell’amore e spinta dal desiderio di allontanarsi dalla famiglia, incontra Lui – uomo del quale mai viene fatto il nome – e dopo un breve fidanzamento decide di sposarsi. La relazione presto diventa tossica, il marito a poco a poco si rivela un violento e un manipolatore, che cerca di allontanare Barbara dai familiari e dagli amici. La insulta, la denigra, è geloso di lei in modo ossessivo, quando è lui stesso a tradire. Diventa una presenza oscura e minacciosa che fa perdere a Barbara certezze e punti di riferimento, fin quando la ragazza, toccato il fondo della disperazione, inizia un processo doloroso e commovente di separazione, una disintossicazione dalla dipendenza affettiva, alla ricerca di se stessa.

Inizia così di nuovo a volersi bene, a ritrovare desideri e interessi. Nel percorso di rinascita e di uscita dalla violenza incontra Giulio, un uomo gentile, una figura maschile positiva e benefica, insieme al quale deciderà di vivere e di formare una famiglia.

Il racconto di Sabrina, a tratti in forma di diario, si dipana parallelamente alla storia della violenza che subiscono la madre e, di riflesso, la sorella Francesca. È proprio la testimonianza della madre Maria ad aprire il romanzo, perché l’autrice vuole sottolineare come la violenza nella relazione si espanda e contamini anche i figli e le figlie. Sabrina Cionini vuole partire dalle origini della sua esperienza, vuole parlare di sé per parlare alle donne, in modo che la sua sofferenza sia di esempio, di condivisione e di monito. Una storia commovente, una scrittura essenziale e affilata, che arriva dritta al cuore con la generosità e il coraggio di una donna che non si è arresa e che dal suo dolore ha saputo costruire una vita piena di bellezza.

Sabrina Cionini è nata a Grosseto, dove vive, nel 1967. È animatrice e operatrice d’infanzia, esperta in comunicazione sociale, legata al mondo del volontariato, e da anni crea e realizza percorsi formativi per sensibilizzare e per contrastare la violenza contro le donne, i bambini e i disabili, diverse forme di violenza e di insensibilità verso, donne, bambini, disabili. Una mattina come tante, sua opera prima, cerca di dare corpo ai tormenti vissuti e osservati a partire da sé, alle personali scoperte, alle sofferte e felici consapevolezze.

Oggi incontriamo Sabrina per parlare del suo libro Una mattina come tante. Il coraggio di una donna (Thàlia Servizi Editoriali, 2022).

Buongiorno Sabrina e grazie per essere qui con noi a condividere alcune riflessioni sul tuo romanzo. Quando hai maturato l’idea di scrivere il libro?

“L’idea di scrivere il libro l’ho maturata tanti anni fa, poco dopo aver scritto il diario, tanto è vero che avevo nascosto il diario in garage e ho sempre pensato che un giorno l’avrei ripreso per scrivere un libro. Ho capito già all’ora che era importante mantenere il diario originale, perché mai avrei potuto rivivere, per fortuna, le emozioni ed il profondo dolore di quei momenti”

Che ruolo ha avuto la scrittura nel processo di elaborazione della tua vicenda personale?

“La scrittura ha avuto un ruolo molto importante nel mio processo di crescita, sia perché è stata in parte una liberazione (infatti una volta scritto il libro ho stracciato materialmente tutte le pagine del diario), ma soprattutto perché avendo messo ogni cosa nero su bianco non posso più “normalizzare” i vari eventi, perché è proprio la “normalizzazione” di situazioni “non normali” che non permette di uscire da situazioni familiari tossiche. Ancora oggi ogni volta che faccio una presentazione mi emoziono tantissimo, perché quotidianamente tenderei automaticamente  a rimuovere e normalizzare tutta la mia storia”.

Come ti sei sentita emotivamente nel raccontare ad altri il tuo dolore?

“Ho scritto il libro molto di getto, senza troppa razionalità, ma come si dice “di pancia” e di cuore. Ho deciso di pubblicarlo, ma solo il giorno antecedente alla prima presentazione mi sono resa conto veramente di quello che andavo a fare e soprattutto che non sarei potuta più tornare indietro. Ho avuto attimi di panico e di sconforto, avevo veramente paura a mettermi a nudo davanti a tutti, considerando che io sono una persona si solare ma molto riservata (la maggior parte delle persone che mi conoscevano non sapevano nulla della mia vita al di là di quella presente), comunque mi sono fatta coraggio e ciò che mi ha dato la spinta maggiore è stata la possibilità e la volontà di aiutare altre persone. Inoltre, dal mio punto di vista, il dolore che si prova in certe situazioni, è importante riuscire a trasformarlo in qualcosa di positivo, altrimenti non ha senso soffrire così tanto”.

Ti soffermi molto sulla tua infanzia e sulle dinamiche disfunzionali vissute nella tua famiglia d’origine. Se potessi tornare indietro cosa cambieresti?

“Della mia infanzia potrei cambiare ben poco, ma subito dopo avendo la consapevolezza di oggi sicuramente ascolterei molto di più i mie desideri e cercherei di realizzare il più possibile i miei sogni di libertà, fuggendo dai condizionamenti patologici della mia famiglia di origine”.

Cosa diresti oggi a quel “Lui” che è stato il tuo carnefice manipolatore?

“Oggi “Lui” lo sento così lontano da me, dal mio mondo che non avrei da dirgli nulla, la cosa importante è che sia riuscita, anche se con tanta fatica, a liberarmi di lui, in tempo per diventare una “farfalla””.

Come madre, come pensi possa agire un genitore nel permettere ai figli di maturare l’idea di una “relazione sana”?

“E’ una domanda molto difficile, alla quale non so se riuscirò a rispondere. Posso provare a scrivere delle riflessioni che spesso ho fatto. La relazione sana si basa sul rispetto della persona e della sua individualità. Alla base di ogni relazione affettiva ci deve essere il rispetto dell’altro. Se già noi come genitori non riusciamo a vedere nostro figlio/a come un essere a se stante, ma lo vediamo e lo percepiamo come un nostro prolungamento, certamente lui o lei sono a rischio di una relazione tossica.

Inoltre è importante che i nostri figli non si sentano onnipotenti e al centro del mondo, devono imparare a sentirsi dire anche dei no, così forse un giorno potranno accettare anche un no dentro ad una relazione di coppia senza dare di matto. Aiutiamo le figlie femmine a far crescere la loro autostima, solo così potranno pensare di meritare di più di una persona che le leva ogni giorno di rispetto.

Il figlio deve essere accettato amorevolmente per come è, non per come noi vorremmo che fosse, solo crescendo così, amato e rispettato nella sua personalità potrà andare incontro a relazioni più sane”

Un libro che citi spesso è “Donne che amano troppo” di R. Norwood: cosa ti ha ispirato questa lettura?

“Donne che amano troppo è stato il libro che mi ha aperto gli occhi. Leggendolo ho preso consapevolezza del fatto che non ero sola, che non ero strana, ma che molte persone oltre a me avevano gli stessi problemi e che potevano, volendo,  essere risolti”.

La tua è una storia di grande coraggio e forza d’animo: come si esce da una relazione sentimentale malata? 

“Si esce da una relazione sentimentale malata, prima di tutto prendendone consapevolezza e poi chiedendo aiuto, aiuto agli amici, ai centri antiviolenza, agli psicologhi, ai parenti. Da soli è impossibile. Ci vuole coraggio e tanta forza, è come quando un tossicodipendente va in comunità per disintossicarsi, ci  saranno senz’altro ricadute, più di una volta tornerà sui suoi passi, ma poi piano piano ce la può fare. Così chi intende uscire da una dipendenza affettiva non deve avere fretta, soprattutto non deve giudicarsi, ma  darsi il tempo che serve,  anche perché se una persona non è pronta, non potrà affrontare tutto il dolore necessario per salvarsi”.

Il libro nonostante tutto rimanda a un messaggio positivo e di speranza: vuoi dirci qualcosa a riguardo?

“Certo che si, questa è la parte più bella.

Si può uscire da una relazione tossica, tutti ce la possono fare, ed è importante farlo ad ogni età, perché solo cosi potrai apprezzare e cogliere tutto il bello che la vita ha ancora da donarti.

Io mai avrei creduto di poter riuscire ad avere una famiglia “vera”, dei figli, eppure la vita mi ha fatto questo immenso regalo, ma ha potuto farmelo solo perché ero riuscita ad essere “libera”.

Quali progetti hai nel cassetto?

“In questo momento il progetto più importante è quello di divulgare il libro in modo da arrivare a tante persone ed aiutarne il più possibile. Cerco di fare tante presentazioni e interviste proprio per farmi conoscere, mi apro alle persone in modo che anche loro si sentano tranquille ad aprirsi a me. In questi mesi più di una persona, dopo aver letto il libro, mi ha contattato per chiedere aiuto o anche solo per parlare con me di una sua esperienza, ho avuto diversi riscontri e questo mi da una grande gioia.

Poi, visto che l’esperienza di scrivere mi è piaciuta così tanto potrei anche ripeterla, chissà! Per il futuro lasciamo aperta ogni possibilità, solo così si può essere liberi”.

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