Alla Festa del Cinema di Roma ‘Santa subito’, docu-film sulla prima vittima di stalking in Italia

Rosa Maria Scorese: "Mia sorella, martire per dignità donna"

ROMA – “Per deporre le armi degli uomini c’è bisogno di un cambio di pensiero. In questo momento l’Italia non è un Paese per donne”. Ne è convinta Rosa Maria Scorese, sorella maggiore di Santa, uccisa nel 1991 a soli 23 anni per mano del suo stalker, che per tre anni l’aveva seguita ovunque: all’università, al supermercato, in Chiesa, persino dal medico. Dalla provincia di Bari la storia della “nostra peperina”, così ama ricordarla la sorella, arriva fino a Roma grazie al film documentario ‘Santa subito’, per la regia di Alessandro Piva, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema dove sarà proiettato stasera.

Un docufilm, realizzato con il bando ‘Social Film Fund Con il Sud’, per raccontare il dramma di una famiglia, ma anche la forza di una giovane donna “nata nel 1968, di cui portava il marchio. Era una sessantottina a tutti gli effetti- racconta alla Dire Rosa Maria- una studentessa volitiva, una ragazza socievole e solare, un vero vulcano”. Sportiva, milanista e ‘sorcina’, Santa “fischiava come fischiano i pastori”. Una ventitreenne allegra, come tante, che accanto ai suoi studi in Pedagogia e ai suoi sogni di ragazza, coltivava una profonda fede in Dio. “Santa faceva parte del movimento dei Focolari e delle missionarie dell’Immacolata padre Kolbe, frequentava la Chiesa, andava a messa ogni mattina”.

E proprio andando in cattedrale a Bari una mattina, Santa incontra l’uomo che non le avrebbe più permesso di condurre la sua vita di ragazza. “Stava andando lì per parlare con il suo professore di inglese del liceo- racconta Rosa Maria- Lungo la strada incrocia questo perfetto sconosciuto, che l’ha beccata come un cacciatore fa con la sua preda. Il parroco lo conosceva, era stato allontanato da un gruppo vocazionale. C’erano stati altri casi in cui aveva usato violenza verbale contro delle ragazze di Chiesa, ce l’aveva proprio con le donne di Chiesa”. Diventato “l’ombra di Santa”, il raggio d’azione dello stalker si era poi allargato alla famiglia e agli amici. “Lasciava sui nostri parabrezza bigliettini farneticanti, importunava le persone che conoscevano mia sorella per chiedere informazioni su di lei”.

Costretta a cambiare le sue abitudini, Santa “era scortatissima- ricorda Rosa Maria- Mamma andava con lei all’università, gli amici non l’hanno mai mollata, io, incinta al settimo mese, una volta l’ho rincorso con l’ombrello”. E poi “papà, che faceva il poliziotto, l’accompagnava ad ogni denuncia”.

La prima denuncia

Che puntualmente cadeva nel vuoto. Come la prima, per il tentato stupro nel 1989. “Due importanti magistrati di Bari le dissero, davanti a noi: ‘Si faccia accompagnare, piccolina com’è se avesse voluto farle del male lo avrebbe già fatto’”. Sottovalutazione fatale perché, invece, il 16 marzo del 1991 l’uomo riuscì ad accoltellare Santa proprio sotto casa, in uno dei rari momenti in cui la ragazza aveva allentato la scorta.

L’omicidio

“Quella sera lui l’aspettava sotto casa. Appena arrivata con la macchina si era precipitata all’ingresso di casa, aveva suonato al citofono, mio padre non sentì nulla. Si affacciò alla finestra e assistette a questo femminicidio annunciato”. A nulla servirono la corsa in ospedale, l’intervento a cuore aperto. “Il parroco che Santa aveva chiesto non riuscì ad arrivare in tempo, ma chi era con lei negli ultimi istanti di lucidità ci ha raccontato che aveva nei confronti del suo uccisore un atteggiamento di perdono”.

Una forza che Santa aveva già dimostrato in altri momenti: “All’ennesimo bigliettino del suo stalker aveva detto ad un giovane sacerdote: ‘Sappi che qualsiasi cosa succeda io ho scelto Dio’- ricorda la sorella- A me una volta disse con la testa tra le mani: ‘Anche dopo che sarò morta questa cosa non sarà risolta, sentirete parlare di me’”. Di Santa, riconosciuta dalla Chiesa come Serva di Dio, in effetti si continua a parlare. Riconosciuta emblematicamente come la prima vittima di stalking in Italia, oggi su di lei è aperto un processo di beatificazione per presunto martirio. La sua storia è stata portata in teatro, poi al cinema con un mediometraggio tutto pugliese diretto da Mimmo Spataro, e oggi, con il film di Alessandro Piva, che ha risposto al bando di fondazione Con il Sud assieme all’associazione Giraffa Onlus, che dal 1997 gestisce il centro antiviolenza ‘Paola Labriola’ a Bari, inserito nella rete di Reama-Rete per l’empowerment e l’auto mutuo aiuto.

“Avevamo già incrociato la figura di Santa Scorese- racconta alla Dire la presidente della Giraffa, Maria Pia Vigilante- Abbiamo portato la sua storia nelle scuole, nei convegni, nei seminari rivolti all’Ordine degli avvocati di Bari. Il regista ci ha contattate, noi ci occuperemo di portare questo film nelle scuole per sensibilizzare sulla tematica della violenza contro le donne”. E sullo stalking, oggi reato grazie ad una legge del 2009, di cui all’epoca del femminicidio di Santa non si parlava. “All’epoca si denunciavano le molestie o la violenza privata- chiarisce Vigilante- Oggi lo stalking è un fenomeno sotto la lente di ingrandimento, tanto è vero che ad agosto abbiamo avuto con il Codice Rosso un ulteriore inasprimento delle pene. I centri antiviolenza, però, chiedono di rafforzare la prevenzione, che passa dalla sensibilizzazione nelle scuole, dall’uso del linguaggio di genere”.

Ma cosa può fare oggi una donna che subisce le persecuzioni di Santa

“Nei centri antiviolenza ci sono i colloqui con le operatrici e con le psicologhe. Poi se la donna vuole fare denuncia viene affidata ad un’avvocata- sottolinea la presidente della Giraffa- Poi facciamo una valutazione del rischio per capire se è molto esposta, se ha bisogno di essere messa in protezione, le consigliamo modalità di raccolta delle prove che le possono essere utili. E di non uscire mai da sola nè di accettare appuntamenti con lo stalker – spesso un ex partner – che sono ad alto rischio. Rispetto a un tempo abbiamo più possibilità di intervento, forse Santa non sarebbe morta”.

Rosa Maria non ne è così convinta: “Forse ci sarebbe stata qualche chance in più per mia sorella, che si è immolata pur di non cedere sull’autodeterminazione e per questo è considerata una martire per la dignità della donna. Ma non ne ho piena certezza. Bisogna essere fortunate nella denuncia. Non credo molto nel Codice Rosso- confessa- abbiamo bisogno di più fondi da destinare ai centri antiviolenza, alla scuola, alla formazione. Dobbiamo parlare con le mamme dei ragazzi, con gli insegnanti che vanno destabilizzati sul piano degli stereotipi”. (Annalisa Ramundo – www.dire.it)

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