“Hold Your Breath”, testimoniare il lockdown. Intervista al fotografo Jacopo Rufo

Se la fotografia ha il potere di documentare e sollevare domande, il racconto fotografico al tempo del Covid ci parla di attimi sospesi, dell’accettazione di una realtà nuova e della speranza di un ritorno alla normalità

Il 9 marzo 2020 il governo guidato da Giuseppe Conte ha imposto all’intero paese la quarantena per controllare l’aumento dei contagi da SARS-CoV-2. L’unica finestra sul mondo per gran parte della popolazione è stata quella dei media, dei Social, della condivisione virtuale. Sull’importanza della fotografia e sul valore della documentazione per immagini ne abbiamo parlato con Jacopo Rufo, fotografo classe 1990, che dal terrazzo di un condominio di Roma nei pressi di Piazza Lodi ha immortalato attimi di vita durante e dopo il lockdown, raccogliendo i suoi scatti nella raccolta Hold your Breath.

foto di © Jacopo Rufo

Durante la quarantena l’ambiente domestico ha rappresentato la nostra unica dimensione di vivibilità. Moltissime persone sono state messe in smartworking, mentre altre hanno perso addirittura l’occupazione. Tu che sei abituato a viaggiare molto, ti sei trovato improvvisamente costretto per intere settimane entro gli stessi spazi: come sei riuscito a trovare libertà espressiva anche in questa circostanza?

“Io ho sempre con me la mia macchina fotografica e il mio archivio è un flusso costante di foto che riguardano pressoché tutto quello che faccio. Certamente ritrovarmi chiuso in casa ha deviato il flusso delle cose, il presente ha assunto un significato diverso: se da un lato le limitazioni che tutti abbiamo vissuto sono state difficili da affrontare, dall’altro la necessità di raccontare cosa stesse succedendo in quei giorni era tanta. Per cui mi sono ritirato in quei 500 metri di raggio e essendo abituato a fotografare principalmente persone in spazi pubblici, ho dovuto arrangiarmi come potevo sul terrazzo”.

foto di © Jacopo Rufo

Emblematica è la foto in cui sono sovrapposte la cucina e il cortile interno del palazzo: una fusione di spazi eterogenei che rappresenta il luogo interno vissuto e quello esterno desiderato e sognato da tutti. Qui sei riuscito a rappresentare quella dislocazione mentale e spaziale che il lockdown ha generato in moltissimi di noi. Quanto svela questo scatto della condizione che abbiamo vissuto, e che in parte ancora viviamo?

“Quel senso di dislocazione mentale di cui parli è sicuramente il significato più evidente che possiamo dare a questa foto, e per me rappresenta anche il disagio dovuto all’allargamento dei confini domestici. In quei due mesi di quarantena abbiamo avuto la possibilità di confrontarci non solo con il nostro appartamento, ma anche con il condominio e in qualche modo con i vicini di casa. Tutto questo è avvenuto in maniera piuttosto paranoica. Erano giorni di angoscia per tutti e avevamo perso l’orientamento e questa foto, per me, rappresenta anche quello spaesamento”.

foto di © Jacopo Rufo

Nei tuoi lavori precedenti hai privilegiato spesso ritratti e primi piani ma il Coronavirus ha costretto anche te a osservare tutti a distanza. Che impatto ha avuto la pandemia sul tuo modo di fotografare?

“In realtà ha catalizzato un cambiamento che stava già accadendo. La ritrattistica è sicuramente uno dei campi che più mi affascina, tuttavia, già nell’ultimo anno, ho spostato la mia attenzione sugli ambienti, sulle atmosfere e ogni tanto sugli oggetti. Con la pandemia, ovviamente, il ricorso al ritratto è stato sempre più raro e nella raccolta Hold Your Breath ce n’è solo uno. Una sera ho ordinato una pizza, ho fatto salire il fattorino al piano e abbiamo fatto due chiacchiere sul come ci si sentisse a pedalare sulle strade vuote di Roma. Ho pensato che lui, e solo lui in quel momento preciso, rappresentasse l’unica forma di contatto esterno all’ambiente di casa, e che per questo potesse essere incluso simbolicamente nella mia raccolta fotografica”.

foto di © Jacopo Rufo

In un periodo come questo, in cui siamo bombardati da un sovrappiù di foto e informazioni, che valore assume la fotografia?

“La fotografia, per imporsi a livello mediatico, deve essere un simbolo di quel momento. In alcuni casi si tratta di foto forti, dirette, spontanee come solo un amatore può essere, e parlo ovviamente di quelle scattate direttamente dagli smartphone di chi affronta in prima linea la pandemia. Ma le “foto simbolo”, proprio perché rimandano a dei significati cari all’opinione pubblica, vengono facilmente strumentalizzate e il dibattito costruttivo che dovrebbero far scaturire diventa spesso qualcosa di sterile. Poi ci sono i social, c’è la tv, che dal poco che vedo è spesso un calderone di contraddizioni e sensazionalismi. Ma il mondo della fotografia, nonostante si sia imposta nel discorso pubblico quasi esclusivamente a fini polemici, con i grandi fotografi ha invece raccontato con dovizia di particolari e strabiliante lucidità storica quanto è accaduto e sta accadendo. Penso a professionisti come Galimberti, d’Agata, Giuliani, che sono stati capaci di raccontare quanto è successo sin dal primo giorno, regalando ai posteri una narrazione fotografica di inestimabile valore storico“.

foto di © Jacopo Rufo

Le  immagini di Jacopo Rufo narrano di un lockdown dal respiro universale e ci parlano di un periodo storico in cui forse mai ci siamo sentiti così simili e “vicini” gli uni agli altri. Il valore della fotografia al tempo del Coronavirus è quello di riportare fedelmente la realtà e farci riflettere sulla nostra condizione di precarietà e ricerca di adattamento. Le fotografie raccolte in Hold Your Breath mostrano in maniera fortemente evocativa di come il mondo, proprio come questo corridore, continui a restare sospeso nell’attesa del prossimo passo.

 

Altri scatti di Jacopo Rufo sulla pagina Instagram: @jacopo_rufo

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