Cari lettori con la fiducia malandata e il sarcasmo ben rodato, fatevi avanti! Siete pronti a farvi sedurre dal lato oscuro delle relazioni? È arrivato Il destino ha la sua via, il nuovo romanzo standalone di Raffaella Bossi ed è come una cena elegante in cui tutti sorridono con i denti stretti mentre nascondono coltelli sotto la tovaglia di lino.
Dopo averci deliziato con la fortunata serie di gialli Delitti e profumi, Raffaella Bossi torna con un noir psicologico che è una vera e propria sfilata di maschere sociali, e non di quelle carnevalesche ma di quelle ben incollate con la colla dell’ipocrisia.
Il protagonista Carlo Puccini è l’uomo che tutti invidiano: architetto stimato, moglie da copertina (Barbara, la Barbie deluxe del quartiere bene) e miglior amico fidato, il chirurgo estetico Pietro Traversi, che tra un lifting e una battuta fuori luogo, sa sempre come rimettere le cose al loro posto.
Poi basta un attimo. Un solo, minuscolo momento. Una scoperta. Un dubbio. Un dettaglio fuori posto. E la patina si incrina.
In un istante, la quotidianità levigata di Carlo Puccini si trasforma in un campo minato emotivo, in cui l’architetto inciampa in verità scomode e sospetti mai del tutto confessabili. La realtà si sfalda, l’amore si contorce, la fiducia diventa una parola d’altri tempi. Nel tentativo disperato (e vagamente surreale) di rimettere insieme i pezzi della propria vita, Carlo si trasforma in un acrobata in equilibrio instabile tra razionalità e follia, mentre intorno a lui le maschere sociali, affettive, estetiche, iniziano a cadere una dopo l’altra.
Raffaella Bossi si diverte (e ci diverte) con la precisione di un chirurgo o, meglio, di un chirurgo estetico in vena di confessioni scomode, nel mettere a nudo tutto ciò che normalmente viene nascosto dietro facciate perfette: relazioni tossiche camuffate da passione, controllo spacciato per amore, e verità servite su vassoi di sarcasmo. Ogni personaggio è costruito per essere insieme familiare e disturbante: ti sembra di conoscerli, poi ti accorgi che ti stanno guardando con la faccia di qualcun altro. E in questo romanzo, ogni personaggio ha almeno una doppia identità, se non tre.
Bossi firma un libro che è un cocktail irresistibile di humor nero, satira sociale e tensione psicologica. Si ride, sì, ma con quel fastidio in gola tipico di quando si capisce che la battuta più divertente parla di te.
La scrittura di Bossi è affilata, elegante, chirurgica. Ogni frase pesa, ogni parola è una lama ben affilata, e dietro la trama, incalzante, tesa, mai prevedibile, si agitano temi scomodi. E c’è un equilibrio strano, magnetico, tra la leggerezza formale (180 pagine che volano) e il peso dei temi affrontati: la fragilità dei legami, la paura del cambiamento, l’ossessione per l’apparenza, l’amore che degenera in controllo. Un noir che, in fondo, racconta di come ci si possa perdere quando si indossano troppe maschere e si cerca ossessivamente di manipolare il corso degli eventi.
Il destino ha la sua via è la prova che Raffaella Bossi sa scrivere con la grazia di una danzatrice su un campo minato: ogni passo è elegante ma sotto c’è una bomba pronta a esplodere. E quando esplode, lo fa con ironia, lucidità, e quel tocco che ti fa ridere amaro e controllare con sospetto il telefono del partner!
Insomma, se il destino ha la sua via, Raffaella Bossi la conosce bene. E ci accompagna lungo quella strada con un sorriso tagliente e il suo humor nero, perché, come ci ricorda l’autrice: a volte l’amore uccide ma l’odio è molto più efficiente.
Intervista con l’autrice
Qual è la prima scena o il primo personaggio che ha preso vita nella sua mente?È da lì che ha cominciato a costruire tutto?
Tutto è nato da un’immagine. Un giorno mi sono trovata davanti a una donna completamente rifatta, al braccio di un uomo che la mostrava con l’orgoglio con cui si esibisce un’opera d’arte. Quella scena mi colpì profondamente: mi chiesi cosa spinga qualcuno a trasformare in modo radicale il proprio viso e il proprio corpo e, allo stesso tempo, cosa porti un’altra persona ad apprezzare un risultato così artificiale. Da lì, la fantasia ha cominciato a lavorare e la storia ha preso vita quasi da sola.
Dopo una serie consolidata, molto amata come Delitti e Profumi, cosa l’ha spinta a scrivere un romanzo standalone più cupo e “spietato”?
In realtà questo libro è più vecchio della mia serie Delitti e Profumi. L’ho scritto in un periodo in cui saltavo da un genere all’altro: avventure, spy story, romanzi per ragazzi, commedie. Forse era inevitabile che, prima o poi, mi venisse voglia di sporcare le mani con un noir cupo e un umorismo molto nero.
Chi sono davvero i protagonisti del suo nuovo libro e che tipo di umanità ha voluto mettere sotto la lente questa volta?
I protagonisti sono persone apparentemente sicure di sé, ma in realtà fragili: hanno costruito una facciata per adattarsi ai canoni di un mondo in cui l’apparire sembra contare più dell’essere. Carlo è ossessionato dall’avere accanto una donna appariscente, salvo poi scoprire di essere attratto dalla naturalezza. Barbara, invece, usa la perfezione che la chirurgia le ha regalato come strumento di manipolazione, ma quando è costretta a guardarsi davvero dentro, la sua sicurezza si sgretola.
“Il destino ha la sua via” è un titolo che suona come una resa o come una sfida lanciata al lettore?
Non sono fatalista, anzi, tendo a essere un’ottimista a oltranza. Credo che ognuno di noi sia artefice del proprio destino, non perché sia scritto da qualche parte, ma perché è nostro dovere fare tutto il possibile per realizzare i nostri sogni. Se poi le cose andranno diversamente, almeno potremo dire di aver dato il massimo. Per questo considero il titolo una sfida: affrontiamo le nostre battaglie e cerchiamo di vincerle senza barare.
Le relazioni nel libro si muovono spesso sul filo del conflitto, della manipolazione, della distanza emotiva: è il riflesso dei tempi o un’indagine sulla natura umana?
Un po’ l’una e un po’ l’altra. Gli esseri umani restano gli stessi: amano, odiano, ridono e piangono come hanno sempre fatto. È la società che ha complicato le cose, rendendo la vita più competitiva e nevrotica. Basta guardare a un dettaglio quasi ridicolo ma significativo: non possiamo più permetterci di invecchiare. A settant’anni ci vogliono con la faccia da ventenni… e possibilmente senza una ruga di troppo su Instagram.
Quale coinvolgimento emotivo spera di suscitare nel lettore attraverso questo nuovo intreccio di inquietudine, riflessione e ironia tagliente?
Mi piacerebbe che il lettore non si sentisse mai del tutto al sicuro: un po’ a disagio, un po’ complice, e magari sorpreso a ridere proprio quando non se l’aspettava. L’ironia è il mio modo per dire: guardiamo in faccia i lati più scomodi dell’animo umano, ma senza prenderci troppo sul serio.