Per paura di morire l’Italia smette di vivere

Editoriale del Direttore – La follia comunicativa è il primo vero virus, il secondo è la creduloneria popolare. Il terzo è questo benedetto coronavirus il quale a me personalmente secca anche di nominarlo e mi secca di pubblicare notizie nel merito. Il dovere di giornalisti però ci impone di “informare” ma dicendo la verità  e rappresentando fatti concreti. Che la signora Maria abbia l’influenza o ha mal di gola è fatto ricorrente. Non mi sembra ci fasciamo la testa se il vicino di casa ha la febbre. Che il bambino abbia la famosa febbre a quaranta è normale. Come è normale che il nostro corpo particolarmente vulnerabile per decisione del Padre Eterno possa essere colpito da patologie. Come l’artrosi dell’anca, come l’esofagite da reflusso, come l’osteoporosi, come i tumori che affliggono anche tanti bambini che muoiono ogni giorno negli ospedali.

Il mondo, signori, vive e muore. La terra trema e distrugge le case scriteriate che ha costruito l’uomo. Tanto evoluto, quanto demente nel contempo. E dove sta il senso di altruismo, il senso del padre di famiglia che deve mantenere un equilibrio nonostante tutto?

Noi siamo la vita che può morire in ogni minuto secondo. Anche io che ora sto scrivendo questo, domani mattina potrei non essere più nel mondo dei comuni mortali e tornato la da dove sono venuto. E non per coronavirus, ma per il fine vita disposto o dal destino o dal nostro Creatore che ha stabilito un circuito di vita.

Ciò che deve accadere, dunque, come recita il grande Battiato, accadrà in “Eri con me” dell’album Apriti Sesamo che invito ad ascoltare al termine della lettura di questo editoriale.

Ed ora arrivano però le prime denunce per “procurato allarme” a carico di un certo tipo di comunicazione che squalifica il giornalismo italiano e non rende certo un servizio al popolo.  E dunque “contagiato” non significa nè essere morto nè essere un mostro. E’ un malato. E se esistono i reparti di malattie infettive significa che ve ne sono tante altre. Quante persone ricoverate in ospedale per controlli o interventi chirurgici si ammalano di altri virus contratti proprio nei nosocomi stessi? E c’è anche chi muore per questo, per lo più anziani ovviamente.

Che muioiano gli anziani non siamo contenti di certo, sono un patrimonio di saggezza, e non vorremmo perderli mai i nostri nonni e bisnonni. Ma è la vita, non siamo noi i padroni della nostra vita, e probabilmente non lo siamo nemmeno delle nostre case che se trema la terra e vanno giù: addio comfort e lusso e c’è chi si ritrova nei Map delocalizzati.

Gente che in una notte ha perso le sue abitudini, il bar del quartiere. Il centro dell’Aquila è morto da dieci anni e lo sarà ancora per molto, e con esso sono morte le storie di tanta gente ancora in vita con la morte dentro ma vive con forza e dignità. Il piagnisteo, l’arraffo di pasta al supermercato, è il vero problema. Il rimandare tutto, il sospendere il mondo che è il virus che ci affligge. Dunque per resistere al coronavirus dobbiamo scegliere di vivere, con prudenza come quando andiamo in automobile, perchè potremmo morire anche di incidente da un momento all’altro come è capitato a tanti. Compresi quelli del ponte di Genova che stavano transitando per loro affari in quel momento e chissà cosa hanno provato nei decimi di secondo del volo verso la morte. Morte famiglie che sono in lutto ma la vita anche malamente continua, così come è sempre stato. Si vive e si muore. Basta terrorismo mediatico. Pubblichiamo canzoni, andiamocene anche a mangiare la pizza, specialmente ora. E andiamo a comprare ciò che ci serve o ciò che ci piace e anzi ora più che mai concediamoci qualche sfizio e qualche regalo in più. E facciamola finita di piangerci addosso e spegnamo la tv e leggiamo solo chi non esagera! Consigliabile anche di non vedere programmi con la D’Urso”.

Daniele Imperiale

 

 

Invito all’ascolto:

 

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