Roma – Con la risposta n. 1 del 3 febbraio 2025, l’Agenzia delle entrate, nell’ambito di una consulenza giudica, chiarisce che il palladio rientra nel perimetro dei “metalli preziosi” fiscalmente rilevanti ai fini delle plusvalenze secondo il Tuir (articolo 67, lettera c-ter). Di conseguenza, la plusvalenza maturata dalla vendita a titolo oneroso di tale metallo rientra tra i redditi diversi soggetti all’imposta sostitutiva del 26 per cento
Il chiarimento risolve il dubbio di un’associazione che chiede se oltre all’oro, all’argento e al platino, anche il palladio debba essere considerato ai fini della tassazione dell’eventuale plusvalenza generata in caso di compravendita, metallo prezioso, secondo la definizione utilizzata dal Dlgs n. 251/19999 e del relativo regolamento di applicazione definito nel Dpr 30 maggio 2002, n. 150/2002.
Sull’argomento, la circolare n. 165/1998 ha precisato che, per quanto concerne l’ambito oggettivo del trattamento fiscale in esame, devono intendersi metalli preziosi “ad esempio, oro, argento, o platino” allo stato grezzo o monetato. Si tratta di una esemplificazione che non fa alcun riferimento specifico al palladio, circostanza che può sollevare però dubbi di un’ipotetica esclusione di quest’ultimo dalle plusvalenze realizzate ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del Tuir.
L’argomento non si esaurisce qui. La disciplina in materia di “titoli e marchi”, contenuta nel Dlgs n. 251/1999 e nel relativo regolamento su richiamati, volta anche a garantire la corretta informazione dei consumatori nelle compravendite di metalli preziosi, fornisce una definizione più ampia di ”metalli preziosi”, includendo il platino, il palladio, l’oro e l’argento.
La norma del Tuir richiamata dall’associazione (articolo 67, comma 1, lettera c-ter), premette l’Agenzia nella sua risposta, stabilisce che “le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e cbis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo» rappresentano redditi diversi «se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente”.
Per quanto riguarda più specificamente il trattamento impositivo applicabile, l’articolo 3, comma 1, del Dl n. 66/2014, dispone che le imposte sostitutive sui redditi diversi riconducibili alla plusvalenza generata dalla norma richiamata “sono stabilite nella misura del 26 percento”.
Il documento di prassi in odierno aggiunge poi che oltre al Dlgs n. 251/1999 anche la “Convenzione sul controllo e la marcatura degli oggetti in metalli preziosi”, in vigore in Italia dal 15 dicembre 2023, chiarisce che “I metalli preziosi sono il platino, l’oro, il palladio e l’argento. Il platino è il metallo più prezioso, seguito dall’oro, dal palladio e dall’argento”.
In conclusione, l’Amministrazione finanziaria ritiene che, il riferimento “restrittivo” della circolare n. 165/1998, per quanto riguarda l’ambito oggettivo di applicabilità dalla disposizione del Tuir in commento, all’oro, argento, o platino sia stata fornita a titolo esemplificativo e che, di conseguenza, come stabilito in sede nazionale e internazionale, anche il palladio vada incluso nel perimetro della locuzione “metalli preziosi” interessati da tale disciplina.
Di conseguenza, le plusvalenze realizzate con le cessioni a titolo oneroso del palladio, allo stato grezzo o monetato, costituiscono redditi diversi ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del Tuir, e sono soggette all’imposta sostitutiva del 26 per cento.