Crescere è tornare: la poesia come mappa dell’anima nella nuova silloge di Valeria Cipolli “Latte in spalla. Un viaggio di ritorno”
Con Latte in spalla, Valeria Cipolli, artista dell’anima e tessitrice di immagini e parole, compie un gesto radicale, quasi sacro: si china sulle “rovine” dolci dell’infanzia, ne raccoglie i frammenti ancora caldi e li trasforma in poesia. La sua è una poesia da assaporare, da ascoltare con la pelle, da sentire nelle ossa. Con questa nuova silloge, pubblicata da Giovane Holden Edizioni, l’autrice, già nota per l’acclamato I colori parlano tutte le lingue, ci restituisce anche questa volta un’opera preziosa che è attraversamento e rinascita, ferita che si fa canto, eco di una voce che abbiamo smesso troppo presto di ascoltare: quella del nostro io bambino.
Il titolo Latte in spalla. Un viaggio di ritorno è già oracolo: il latte, archetipo primordiale, si fa qui nutrimento e veleno, dolcezza e peso, origine e memoria. È una sostanza che nutre, che lega ma che può anche contaminare. In questo fluido simbolico, Valeria Cipolli immerge la sua scrittura come si immerge il corpo in un’acqua antica e carica di memoria. Le cinque sezioni della silloge, ognuna ispirata a una diversa forma di latte, scandiscono le tappe di un viaggio di metamorfosi dell’essere e della parola. Ogni stadio è una soglia, un passaggio alchemico dove il linguaggio cambia pelle insieme all’anima che lo attraversa.
Ogni passaggio è una mutazione: dai toni lievi e fiabeschi dell’inizio, intrisi di semplicità e cadenze da filastrocca, si procede verso una parola più densa, che affronta le ombre, i silenzi, i margini dell’età adulta. Il linguaggio poetico pulsa come sangue sotto pelle, interroga con urgenza, reclama ascolto. Ogni verso è un varco aperto tra il tempo che eravamo e quello che siamo diventati, tra la carne ancora tenera dell’infanzia e quella più spessa dell’età adulta. Il dialogo che si intreccia tra l’io maturo e il bambino che ancora abita le stanze più segrete del sé è confronto acceso, intimo, mai domato. Non cerca consolazione né indulgenza, ma il coraggio sottile di tenere insieme ogni frammento del nostro essere, tutte le età che ci attraversano e ci compongono.
Ed è proprio questo bambino, ora fragile ora ribelle, che guida il cuore dell’intera raccolta, come voce profonda che interroga e accompagna. È lui a indicare la via, a porre le domande scomode: “Chi sei diventato?”, “Cosa hai smesso di sognare?”, “Dove ti sei perso?”. Latte in spalla. Un viaggio di ritorno è allora una mappa emotiva, un itinerario non per restare radicati nel passato ma per ritrovare nel cuore presente dell’adulto ciò che era rimasto sepolto e talvolta inascoltato
In questo viaggio che ha il sapore di una fiaba moderna — come la stessa autrice ama definirlo — ogni parola si apre come un varco. Latte in spalla è un’opera in cui il verso convive con l’immagine, in un intreccio profondo e armonico. Le illustrazioni, realizzate dalla stessa autrice Valeria Cipolli, si integrano alle poesie come rami cresciuti dallo stesso tronco. Il tratto, onirico e viscerale, apre spazi di senso e suggestione, dando forma visibile a ciò che i versi evocano. Le immagini abitano la poesia, la espandono, la attraversano, la conducono oltre i confini del linguaggio scritto.
Cipolli con il suo stile inconfondibile, intreccia pittura e parola come tessere di un arazzo sensoriale: la poesia diventa visione, e la visione ritorna suono. In questa sinestesia armoniosa, la lettura si fa esperienza immersiva, totalizzante: gli occhi si perdono nei dettagli, la mente scivola nel ritmo dei versi, il cuore si tende verso risonanze profonde, antiche, forse dimenticate. Un libro da vivere che è pelle, è odore, è tempo.
Valeria Cipolli conferma, con questa opera, una vocazione artistica rara: quella di abitare più linguaggi senza mai perdersi in nessuno. La sua poliedricità è necessità espressiva e di osservazione. Pittura e poesia si nutrono a vicenda, si specchiano, si fondono, dando vita a un’opera che, pur nella sua essenzialità di cento pagine, custodisce un intero universo emotivo, pieno di ombre e di luce, di crepe e di possibili riconciliazioni.
Latte in spalla è, infine, un dono prezioso per chi è disposto a guardarsi dentro, a sporcarsi le mani nella terra della propria memoria, a portare sulle spalle, con tenerezza e fatica, quel latte che ci ha cresciuti, salvati o feriti. È una mappa dell’anima, un breviario di sopravvivenza emotiva, una testimonianza poetica della possibilità di trasformare il dolore in seme e la memoria in linfa. Perché, come suggerisce l’autrice, crescere davvero significa imparare a portare con sé il bambino che si è stati. Non come un peso da sopportare ma come una voce da ascoltare. E da amare.
Oggi la redazione ha il piacere di incontrare Valeria Cipolli, autrice e artista di rara sensibilità, per addentrarsi con lei nel cuore pulsante di Latte in spalla. Un viaggio di ritorno che non è fuga, ma abbraccio.
Intervista con l’autrice
“Latte in spalla” è un titolo potente, insieme concreto e simbolico. Qual è stato il primo seme che ha fatto nascere l’opera?
L’ humus da cui è germogliata l’opera è stato quello della fiaba. Sono molto in contatto con la mia parte bambina e spesso torno a leggere le fiabe di quando ero piccola. L’ultimo anno, che per me è stato particolarmente difficile, mi sono ritrovata ad aprire non solo quei libri, ma anche vecchi diari che ho iniziato a scrivere prestissimo . Rileggendoli, ho sentito che potevano intrecciarsi con quell’immaginario fiabesco, generando qualcosa di nuovo. Così è nata l’idea di scrivere una fiaba moderna in versi, capace di parlare al presente toccando temi attuali e universali.
Il latte nelle tue poesie è al tempo stesso origine e rottura, dolcezza e veleno. Cosa rappresenta questo elemento come fulcro del tuo viaggio poetico?
Latte è sobbalzare quando qualcuno chiude una porta, o addirittura prima, latte è pensare di non valere abbastanza di fronte agli altri o lasciare una persona che si ama prima che lo faccia lei. Latte è una pancia che non si riempe mai, è il gesto, la parola che non si controlla, le azioni che non rispondono alla logica adulta, ma a quella anacronistica del bambino che vuole solo essere amato. Il latte rappresenta il dolce-amaro dell’ infanzia e personalmente è anche un simbolo di riconciliazione dato che da piccola l’ho sempre odiato e oggi non me posso fare a meno.
Nel corso della silloge il dolore non resta ferita ma diventa qualcos’altro: come avviene questo atto trasformativo? E il tuo viaggio poetico di “ritorno” dove ti ha ricondotta?
L’aspetto trasformativo mi è sempre stato molto a cuore, sin dalla mia silloge d’ esordio. Non ho mai voluto scrivere versi pessimisti in cui il dolore restasse immobile, incastrato, perdendo l’ occasione di diventare cambiamento. Non è mai ciò che ci accade a definirci, ma come reagiamo ad esso. Per questo ho strutturato la raccolta come un percorso che accompagna il lettore verso la trasformazione del rapporto con il proprio “ fanciullino”. La prima tappa è il dialogo interiore, quel continuo parlarci in silenzio, spesso nel giudizio e senza accorgersene. Imparare a coglierlo e riorientarlo è fondamentale: così il dolore può cambiare forma e aprirsi alla guarigione.
Hai scritto che crescere è imparare a portare con sé il bambino che siamo stati. Oggi quella voce infantile come ti parla? Cosa significa davvero, al giorno d’oggi, darle spazio senza farsene travolgere né rinnegarla?
La vera sfida infatti, è proprio questa: trovare un equilibrio tra le due cose, conviverci senza rinnegarla ne’ farsi trascinare dalla sua irruenza. La voce del bambino interiore non smetterà mai di farsi sentire e grazie al cielo dico io! Resterà lì a battere da dentro, farà i capricci se serve. A cambiare sono le orecchie con cui scegliamo di ascoltarla. Io ho trovato un piccolo rito che mi aiuta: mi abbraccio. Sì, proprio fisicamente- prima mi accerto di essere da sola 😂 – perché quell’abbraccio mi contiene, recinta una parte di me che è molto esuberante e tende a strabordare. È un gesto semplice ma potente: significa dire al bambino interiore: “ adesso ci sono io per te”.
Nel libro sono presenti splendidi disegni, ispirati alle poesie e realizzati da te. In che misura la tua esperienza come pittrice ha influenzato il modo in cui osservi e costruisci i tuoi versi
Trovo perfetto il verbo “osservare” riferito ai versi, perché è proprio così che li vivo: con gli occhi. La vista è il mio canale percettivo principale, spalancato a 360 gradi, per me pensare è vedere. Quando scrivo, i versi nascono già come immagini, come vere e proprie scene, spesso surreali e dense di simboli. Sono molto felice di aver creato, per la prima volta, delle illustrazioni interne al libro. Appartengono a una collezione pittorica a cui tengo molto, dedicata alla maternità come spazio di gestazione simbolico, che presenterò quest’anno alla Biennale di Firenze.
Cosa speri che resti al lettore una volta chiuso l’ultimo verso della silloge?
Mi piacerebbe che a chi legge restassero in bocca sapori differenti, negli occhi quello di una fiaba, capace di essere dolce e crudele insieme, proprio come la vita, nelle orecchie la voce della poesia, che non spiega ma apre varchi interiori, lasciando che immagini e echi affiorino da soli. E infine un retrogusto segreto, da qualche parte del corpo, come un invito, un cenno a seguire i propri piccoli passi lungo il cammino, per ritrovarsi. Alla fine, se qualcosa rimane, spero sia proprio questa variegatura di fiaba, poesia e briciole luminose.


