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La vera Italia raccontata da Fausto Capalbo, la recensione di Claudio Bonvecchio sul libro rivelazione del 2019

Uno spaccato narrativo culturale scritto dalla penna forbita di chi ha saputo raccogliere elementi realistici ed obiettivi che chiarisce i dubbi di una lunga storia: quella italiana

Roma – Non è certo passato inosservato il libro rivelazione sui misteri e sugli intrighi che hanno caratterizzato la storia della nostra nazione. “Fatti e Misfatti” scritto dal Prof. Fausto Capalbo dunque ora più che mai anche in ragione dell’attuale emergenza fornisce un quadro di situazioni e circostanze narrate da un’occhio critico ma realista e che può permettersi il lusso di mettere nero su bianco le proprie esperienze, le proprie cognizioni acquisite in una carriera di lungo corso. Claudio Bonvecchio, Professore Ordinario di Filosofia delle Scienze Sociali, fornisce un quadro esaustivo a livello di recensione su questa opera che  è destinata ad entrare nella storia repubblicana del terzo millennio avanzato. Lo stesso Bonvecchio, titola infatti “La vera Italia” quella che è la sua dettagliata recensione sull’opera: 

Fatti e Misfatti di Fausto Capalbo è un libro che ogni italiano dovrebbe, obbligatoriamente, leggere. E, dopo averlo letto, dovrebbe rileggerlo una seconda volta: se vuol comprendere le linee guida che hanno contribuito a fare del nostro Paese il “primo paese del Terzo mondo”. Capalbo disegna, infatti, un quadro dell’Italia – a far tempo dalle vicende risorgimentali e giungendo quasi sino ai giorni nostri – che, a dir poco, è agghiacciante. Capalbo, però, non vuole épater le bourgeois. Non vuole, insomma, stupire con frasi ad effetto o con resoconti, a carattere giornalistico, che possono indurre fastidio, disgusto e indignazione. Espone – con un sottile (ancorché velato) humor anglosassone e con la precisione dello storico – i “fatti e i misfatti” di un Italia che, se per un verso (e malgrado le sue ambizioni), ha sempre fatto di tutto per qualificarsi non come uno Stato europeo ma come una vera e propria “espressione geografica”, per un altro, rende ragione al famoso interrogativo di Sant’Agostino nel De civitate Dei, che recita. “Remota iustitia quid sunt regna nisi magna latrocina?”. Infatti, scorrendo le pagine di Capalbo, ci si accorge come nell’Italia ottocentesca e novecentesca la “iustitia” sia “remota” – ossia non ci sia proprio – e, di conseguenza, governi una banda di ladri e mascalzani. Gli esempi sono numerosi, sono ampiamente documentati e esposti con un linguaggio chiaro e piacevole. Un linguaggio, tuttavia, tagliente e incisivo che azzera miti e racconta verità. Un esempio, tra tutti, è particolarmente indicativo. È quello inerente la “leggendaria” Impresa dei Mille. Documenti alla mano e senza alcun revanscismo neoborbonico, Capalbo ci dimostra come la “hollywoodiana” impresa non è stata un susseguirsi di atti di valore da parte dei prodi garibaldini ma, invece, una sorta di atto piratesco compiuto contro ogni regola internazionale nei confronti del Regno delle Due Sicilie. Regno che – primo in Italia per riserve auree – si stava collocando al terzo posto tra le potenze industriali europee. Ovviamente, questo disturbava l’Inghilterra che ne temeva l’autonomia, la concorrenza commerciale nel Mediterraneo e la rilevanza della flotta navale: in relazione al Canale di Suez A queste motivazioni si univano, pure, i rapporti diplomatici sempre più stretti tra il Governo Borbonico e l’Impero Russo. La “mano armata” inglese contro i Borboni, oltre alla diplomazia, sarà la Libera Muratoria inglese che – unitamente a quella italiana – spianerà la strada ai “Mille”, sia utilizzando come deterrente la flotta inglese sia corrompendo, con “fior di quattrini”, i generali borbonici che si lasceranno conquistare, senza opporre alcuna (possibile e efficace) resistenza.

È evidente che, da questo contesto, Garibaldi – sulla cui figura Capalbo (ma non è il solo tra gli storici) nutre molti e pesanti dubbi – viene radicalmente ridimensionata. Più che come “l’Eroe dei Due Mondi” appare come un astuto pirata che approfittando della situazione contingente è riuscito – auspice una ben condotta propaganda anglosassone – ad accreditarsi come un liberatore e non come l’invasore di uno Stato sovrano straniero con cui il Regno di Piemonte e Sardegna aveva stipulato un Trattato di Alleanza. Non c’è dubbio alcuno che – secondo le regole internazionali statuite dalla Società delle Nazioni prima e dall’ONU oggi –  Garibaldi sarebbe considerato un pericoloso avventuriero su cui verrebbe spiccato un mandato di cattura internazionale. Ora – senza sposare in toto le tesi di Capalbo – che, per altro, non nega a Garibaldi il coraggio e la spregiudicatezza di un capo – è sacrosanto e doveroso un suo ridimensionamento storico. Se il suo mito era funzionale alla costruzione dell’ideologia del nuovo Stato Unitario, a distanza di più di centocinquanta anni, forse è venuto il momento di una più attenta ricostruzione storica: certo senza voler demonizzare o esorcizzare il passato. Sarebbe indispensabile, dunque, cercare di restituire la veridicità storica degli avvenimenti e di chi ne è stato l’attore primario.

Questo perché, notoriamente, la storia è fatta non solo di luci ma, anche, di ombre. Basta solo pensare che Garibaldi, da incallito positivista qual’era, desiderava deviare il corso del Tevere (lo cita Capalbo) e interrare l’alveo per farvi passare una ferrovia che sarebbe stata realizzata da una società inglese. Cosa questa che, d’altronde, non desta meraviglia se si riflette (e Capalbo non si sofferma su questo) che Giuseppe Garibaldi – Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e Gran Jerofante dell’Antico e Primitivo Rito di Memphis e Misraim – non capiva assolutamente nulla di Esoterismo. Il che è abbastanza significativo. Ma Fatti e Misfatti si sofferma – con la medesima puntualità e acribia documentaria – su altri misteri italiani su cui si brancola, ancora, nel buio. Sotto la brillante e piacevolissima prosa di Capalbo prendono corpo i misfatti e le figure che hanno caratterizzato il Regno d’Italia, il Regime Fascista e la Repubblica in cui ancora ci troviamo a vivere e patire: Vaticano compreso. Ci si accorgerà, allora, come molte ovvietà o retoriche celebrative e ideologiche sono sempre state la coltre protettiva sotto cui sono state occultate connivenze trasversali, interessi personali (e di gruppo), indicibili alleanze e trame oscure. Completano questo pregevole lavoro cinque interessanti appendici che riguardano il Regno e la Repubblica, la Chiesa Cattolica, la Libera Muratoria Universale, le Organizzazioni di Intelligence e le Strutture lobbistiche. Chiaramente, con questo “intrigante” lavoro, Fausto Capalbo non vuole iscriversi nel lungo catalogo dei qualunquisti, dei professionisti del pettegolezzo politico e tantomeno degli intellettuali dalla gratuita (e facile) vis polemica e denigratoria. Al contrario, dalle sue pagine emerge un indiscutibile amore per questo paese le cui traversie, abilmente raccontate, non muovono il desiderio di abbandonare l’Italia quanto di comprenderne la realtà per cercare di operare – ove possibile – un miglioramento. Capalbo non vuole accreditarsi né come uno scrittore ingenuo e neppure come un moralista. Comprende sin troppo bene cosa significa la Ragion di Stato e come, talora, sia necessario disattendere le norme e le leggi in nome del bonum commune. Semplicemente, indica come questo bonum commune troppo spesso si è identificato con persone e gruppi di potere e non con il popolo italiano. E questo lo vuol segnalare senza mezzi termini, indicando così – ed è l’insegnamento di questo testo affascinante – come all’Italia sia, storicamente, mancata una classe politica capace di essere veramente tale. Ma se questo era il problema di ieri lo è, anche dell’oggi. (Claudio Bonvecchio)

Fausto Capalbo, Fatti & Misfatti. Intrighi-Segreti-Misteri, Michele Biallo Editore, l’Aquila, 2018, pp. 421, € 25.

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