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L’Italia riparte dal lavoro: emergenze e criticità da affrontare

Roma – Tra le tante priorità che il Governo Draghi dovrà immediatamente affrontare il
lavoro avrà certamente una corsia preferenziale. L’attuale situazione
occupazionale presenta delle emergenze assolute, sottolineate ancora una volta
dall’ultima rilevazione ISTAT di dicembre. “Per questo sono necessari degli
interventi di sistema, utili non solo ad avere risultati-tampone immediati, ma
anche ad essere fondamenta per il rilancio futuro del Paese. Per pianificare gli
interventi necessari è quanto mai opportuno partire dalle criticità emerse nella
gestione di questo lungo periodo di pandemia, intervenendo con riforme di
sistema anche tramite i fondi che saranno assegnati al Recovery Plan”, commenta
Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Consulenti del Lavoro.
Divieto di licenziamento: È una delle criticità che il nuovo Esecutivo dovrà
affrontare per prima. Si stima infatti che, con lo sblocco dei licenziamenti, le
piccole e medie imprese registreranno un calo dell’occupazione di 1 milione di
posti di lavoro a causa dell’emergenza. Al momento la scadenza è fissata al 31
marzo p.v., ma da tempo vi sono pressioni per spostarla più in avanti. Ma il
problema non è quando interrompere il divieto, ma come gestirne le
conseguenze. Prorogare il blocco, senza avere le idee chiare su cosa fare dopo, è
solo un modo per procrastinare il problema. La soluzione primaria è evidente: la
ripartenza immediata dell’economia, che permetterebbe alle aziende oggi in
difficoltà assoluta di poter tornare ad assumere. Ma non si può prescindere da
una profonda rivisitazione del sistema delle politiche attive del lavoro, che in
questi anni ha mostrato tutti i limiti strutturali di cui soffre.
Politiche attive e Reddito di Cittadinanza: Se si parla di politiche attive, non si
può non fare accenno al Reddito di Cittadinanza, sempre al centro del dibattito
politico. Non c’è dubbio che la riforma varata nel 2019 sia rimasta incompleta,
quindi non si può che parlare di una misura inefficace. Non tanto nella parte
relativa alle politiche passive, dove ha svolto un importante ruolo assistenziale
durante la pandemia, quanto per quella relativa alle politiche attive, rimaste
ferme alla previsione normativa mai attuata. L’Italia è il Paese delle politiche
passive ̶ da sempre presenti nel nostro ordinamento ̶ ma è estremamente
carente in quelle attive. Ecco, dunque l’immediata necessità di dotarsi di
strumenti necessari a determinare un repentino rientro del lavoratore espulso dal
mercato. Vanno dunque riorganizzati i Servizi per il Lavoro, in modo da renderli
funzionali all’attuale situazione. In tal senso vanno rivalutati ruolo e mission
dell’Anpal, dei Centri dell’Impiego e del collocamento privato. Ed è diventato
indispensabile virare sulla telematica al servizio della diffusione territoriale dei
punti di contatto tra cittadini in cerca di occupazione e le agenzie per il lavoro.
Modalità, questa, che non potrà che far decollare anche l’altra parte delle
politiche attive, quello cioè legata alla formazione e riqualificazione del
lavoratore che ha perso occupazione. Un modo per modernizzare un pezzo
importante del Paese, utilizzando in modo estremamente utile i fondi in arrivo.
Investimenti su progetti già pronti: Come già accennato, qualsiasi buona
politica attiva posta in essere deve fare i conti con la domanda, che al momento è
quasi totalmente assente. Per far ripartire in tempi rapidissimi l’economia una
buona iniziativa sarebbe quella di immettere subito nell’economia reale
importanti somme, provenienti dal Recovery Plan. Si tratta della prevista
anticipazione, erogata subito dopo l’approvazione, che potrebbe sfiorare i 30
miliardi assegnati entro fine anno. In sostanza, bisognerebbe evitare che le
procedure burocratiche dilatino i tempi dell’effettivo utilizzo dei fondi. Non
sono, infatti, brevi i tempi per avviare l’iter per l’approvazione e il finanziamento
di nuovi lavori, condizionati come sono dai tanti adempimenti necessari. Una
soluzione potrebbe essere quella di finanziare moltissime opere, piccole e grandi,
necessarie per i Comuni, ma ferme perché prive di coperture. Non vi è dubbio
che il periodo pandemico, tra i tanti effetti collaterali negativi, abbia causato una
grossa contrazione degli introiti degli enti locali. E ciò ha prodotto il fermo di
molti progetti già pronti, ma carenti di fondi. Finanziare queste attività, fatti i
preventivi e dovuti controlli di legittimità, significherebbe far ripartire
immediatamente l’economia reale in migliaia di Comuni e con essa il lavoro.
Nuovi modelli organizzativi: La pandemia ha determinato il ricorso massivo al
lavoro a distanza, creando un incredibile test di sperimentazione di nuove
modalità lavorative. Sbaglia, però, chi pensa che la situazione creatasi sia legata
esclusivamente al momento emergenziale. In questo anno è cambiato, non solo il
modo di vivere e di relazionarsi, ma anche il modo di lavorare e di gestire la
propria attività. In prospettiva, la scommessa è trasformare l’eccezionalità del
caso in veri e propri nuovi modelli organizzativi aziendali, il cui confine potrebbe
essere infinito se accompagnati da una lungimirante politica mirata ad aprire
ulteriori spazi di sperimentazione e progettazione. Questa nuova dimensione
riguarda le aziende, ma anche i territori e potrebbe essere associata ad azioni che
puntano sulla sostenibilità ambientale ed economica dell’intero sistema.
Riforma degli ammortizzatori sociali: Sempre di attualità è la riforma degli
interventi di integrazione salariale. Quasi 8 milioni i lavoratori che sono stati
coinvolti negli ammortizzatori sociali in un anno di pandemia. Bisogna
premettere, però, che fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria nessuno sentiva il
bisogno di intervenire con una riforma su un settore nevralgico, ma dall’utilizzo
circoscritto a situazioni di crisi particolari. Unico momento critico di
assimilazioni a quello pandemico può essere considerato quello conseguente ai
tanti fenomeni climatici occorsi in questi anni. E proprio da questa
considerazione si rilancia ancora una volta l’idea dell’Ammortizzatore Sociale
Unico, perché unica è la causale per fenomeni che coinvolgono in modo diffuso e
involontario un gran numero di aziende e lavoratori, appartenenti ai settori più
disparati. È la realtà con cui il Paese ha dovuto fare purtroppo i conti nel caso di
terremoti, alluvioni e inondazioni. Anche in questo caso la pandemia può dare il
via a questa semplificazione burocratica, peraltro proposta sin dal mese di marzo
2020, che dovrebbe essere caratterizzata dall’eliminazione dei numerosi (troppi)
passaggi burocratici che hanno creato il mostruoso volume di adempimenti con
cui hanno dovuto fare i conti Inps, Consulenti del Lavoro, imprenditori e
lavoratori.

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