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L’ira funesta dei profughi afgani, Battiato precursore in “Cuccuruccucù”

Editoriale – Ogni giorno che passa, anche dopo mesi dal passaggio alla dimensione eterna, l’eredità del maestro continua a far riflettere. Brani che sembrano essere stati scritti con una visione perpetua delle cose. Celebrazioni dell’io e di fatti che scuotono l’umanità. La crisi, gravissima afgana di questi giorni, ci porta al brano de” La Voce del padrone” che Franco Battiato ebbe a pubblicare nel lontano 1981. 

L’ira funesta dei profughi afgani è dunque un passaggio della notissima canzone che ha entusiasmato intere generazioni da allora e fino ad oggi.
Battiato, con questa citazione volle tributare il popolo afgano, che in quegli anni era interessato dalla guerra sovietico-afgana che ebbe inizio nel 1919 e che perdurò fino al 1989. Voler immortalare il popolo afgano dunque in una canzone destinata a vivere per sempre, è una sorta di messaggio verso un popolo che sembra, purtroppo non poter trovare pace ancora oggi nel 2021.

L’ira funesta dei profughi afgani
Che dal confine si spostarono nell’Iran
Cantami o diva dei pellerossa americani
Le gesta erotiche di Squaw “pelle di luna”
Le penne stilografiche con l’inchiostro blu
La barba col rasoio elettrico non la faccio più
“Il mondo è grigio il mondo è blu”

Già da allora il maestro cita nelle sue canzoni le sofferenze di questo popolo martoriato dalla disperazione e caratterizzato dalle fughe massive.

Nel pieno della guerra dunque, Battiato racconta questa “ira funesta”. Termine che evidenzia la rabbia e che il maestro accompagna con “funesta”. Triste dunque, accompagnata da morte e disperazione.

E questo album ove trova spazio “Cuccuruccucù”  ossia La voce del padrone  è indubbiamente il più grande album della musica italiana.

Franco Battiato, nel suo estro senza confini e, per questo, talvolta irraggiungibile per una spiegazione della sua arte, ebbe dunque ad inserire in questo prestigioso album  una canzone matriosca: la stessa è, infatti, un contenitore di altre canzoni, citate e rimodellate per creare quella che è poi diventata una vera e propria silloge  delle sinfonie composte dal compianto maestro.

Le sequenze in questo brano sembrano essere caratterizzate da un effetto domino, in cui una scivola sopra l’altra, partono proprio da quel ritornello: Cuccurucucù Paloma è una canzone del cantautore messicano Tomas Mendez del 1954, che richiama, con un’onomatopea, il verso delle colombe, in quella che è una metafora sull’amore che vola via: ed ecco il perché dell’Ahia-ia-ia-iai cantava. Battiato intimizza il brano ricordando gli anni della gioventù e del liceo (Le serenate all’istituto magistrale), con l’annessa spensieratezza e la già presente passione per la musica (Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera), che si manifesta con le citazioni di canzoni della propria adolescenza: Il mare nel cassetto di Milva (1961), Le mille bolle blu di Mina (1961), Il mondo è grigio il mondo è blu, canzone di Eric Charden (1968), riproposta in italiano da Nicola di Bari.

Il cantautore rimane caro al suo modus operandi narrativo: raccontare immagini, sentimenti ed eventi, incastonandoli in contesti storici, legati tra il richiamo bellico (L’ira funesta dei profughi afghani) e le tradizioni dei nativi americani (Le gesta erotiche di squaw “pelle di luna“), per poi evocare visioni e colori (Le penne stilografiche con l’inchiostro blu) in quella che risulta come una rivolta personale al modernismo ed un ritorno all’antico (La barba col rasoio elettrico non la faccio più) proprio a quel tempo in cui tutto era blu, non grigio come nel presente.

Cuccurucucù la potremmo interpretare dunque cme un sound ritmato precursore di una serie di azioni ed emozioni. Una canzone con un potere  evocativo, realista e che però tende a voler superare ogni grigiore, a rivedere le mille bolle blu, in un mondo che segnato anche dalla pandemia covid vorrebbe ritrovare il suo equilibrio di colore.

 

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