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Allarme in Parlamento: “Draghi, non andartene”. E chiedono a Mattarella il bis

L'ipotesi di una permanenza del presidente della Repubblica uscente non è uscita di scena. I partiti cercano di costruire un fronte per l'elezione al Colle nelle prime tre votazioni e proseguire la legislatura e il governo Draghi

ROMA – Un appello corale dei partiti che compongono questa maggioranza per chiedere al Capo dello Stato Sergio Mattarella di accettare la rielezione al Quirinale. A quanto si apprende da fonti parlamentari convergenti, l’ipotesi del ‘Mattarella bis’ non è uscita di scena. È il tema che ancora percorre le relazioni tra i leader, nonostante le smentite. I contatti sono frequenti e riguardano in questa fase la costruzione di un fronte parlamentare in grado di eleggere un presidente alle prime tre votazioni, con quorum dei due terzi dei 1.007 grandi elettori, cioè quota 672. Una condizione che significa anche assicurare la prosecuzione della legislatura e la tenuta della maggioranza che sostiene il governo Draghi.

 

Dai partiti avvertono che non si tratta di un tentativo di esercitare un pressing su Mattarella. Si ragiona piuttosto sulle condizioni politiche di questo appello, su una piattaforma programmatica che lo renda percorribile anche dalla più alta carica, che non ha certo nascosto la sua contrarietà alla rielezione. I temi sono quelli più volte citati nel dibattito di queste ore, dalla necessità di lasciarsi alle spalle la pandemia accompagnandola con un percorso di ripresa economica, alla gestione dei fondi del Recovery, al nodo delle riforme che consentiranno al nuovo Parlamento di funzionare. I correttivi al taglio dei parlamentari sono infatti bloccati tra Commissione e aula da lunghi mesi: in caso di urne anticipate, si rischia il blackout nelle commissioni e negli organismi bicamerali.

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Il bis di Mattarella, se si realizzasse, cadrebbe nel passaggio tra l’attuale Parlamento, a 945 membri, e l’altro, frutto del taglio a 600 parlamentari, eletto alle prossime politiche. I partiti sono pronti a mettersi al lavoro, nell’ultimo anno di legislatura. Di qui la necessità di scongiurare il voto anticipato. Se questi sono i temi cruciali, un posto a parte nelle trattative occupa la legge elettorale. Il proporzionale – nella forma del ddl Brescia con soglia al 5 per cento e niente coalizione – ‘dorme’ in commissione, messo in sonno dalle posizioni contrarie della Lega e da quelle scettiche del Pd. Nelle ultime ore si è aperto un doppio spiraglio. A quanto risulta alla Dire, in colloqui riservati il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha cercato di convincere Salvini sulla bontà del proporzionale per sganciarsi dalla morsa di Giorgia Meloni. “Ti conviene restare ancorato al maggioritario?”.

 

Il Rosatellum prevede una parte di collegi oltre al premio di maggioranza, e mette Salvini nella scomoda posizione di chi deve ottenere il fatidico voto in più per vincere la battaglia per la premiership con Giorgia Meloni. Col proporzionale il leghista avrebbe invece un vantaggio certo, rispetto alla leader di FdI, quello di far valere il suo potere relazionale nel futuro Parlamento, dialogando più agevolmente di FdI con Forza Italia e con il polo di centro, che potrebbe formarsi alla sua sinistra. Anche nel centrosinistra, dopo il ‘no’ di Conte alla candidatura alle suppletive di Roma, la minoranza interna è pronta a dare battaglia sul sistema di voto. Col proporzionale, peraltro sistema elettorale congeniale al M5S, i dem non sarebbero obbligati alla coalizione coi recalcitranti pentastellati.

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Ovviamente la legge elettorale non entra nell’oggetto dell’appello a Mattarella. Ma a pochi mesi dalle elezioni, un accordo su questo costituisce per i partiti della maggioranza una condizione politica per tentare di proseguire l’esperienza di governo. Tanto più che in Parlamento cresce il fronte di quanti vogliono tenere a tutti i costi Mario Draghi a Palazzo Chigi, come assicurazione sulla vita dell’esecutivo e sul prosieguo della legislatura. L’interessato cosa ne pensa? In mancanza di posizioni esplicite, i boatos parlamentari lo danno sempre più vicino al Colle. Ciò detto, nei partiti qualcuno ricorda maliziosamente la telefonata di Draghi a Giorgio Napolitano, nel marzo del 2013, per convincerlo a non lasciare il Quirinale, a non sommare – si disse – ulteriore incertezza all’allora critico scenario economico, politico e istituzionale. Se valeva per Napolitano potra’ pur valere per Mattarella, ragionano in maggioranza.

 

Di fatto, l’incertezza su futuro prossimo del premier – a Chigi o al Colle? – produce i primi effetti. A questo fattore fonti parlamentari riconducono lo stop di una parte della maggioranza alla proposta di un contributo di solidarietà, avanzata da Draghi in Consiglio dei ministri. Ci sono poi le parti sociali: industriali e banchieri vogliono che il premier resti alla guida del Governo. E in maggioranza c’è chi legge in questa chiave anche l’effetto inintenzionale dello sciopero generale proclamato da Cgil e Uil per il 16 dicembre. “Non sei premier se non ti sei beccato uno sciopero generale“, scherzano in maggioranza, dove tuttavia sanno che se Draghi lo chiedesse a chiare lettere sarebbe difficile precludergli la strada per il Colle.

 

In tal caso, lo scenario più accreditato nei colloqui di queste ore prevede un governo di scopo con il possibile anticipo della prossima Manovra, in autunno. Controindicazioni: la formazione del nuovo esecutivo avverrebbe all’esordio di Draghi al Colle. Il Governo deve mettere in conto un cammino travagliato nell’anno pre-elettorale. (www.dire.it)

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