titolo pulito

Il sonno della ragione genera mostri – Editoriale

Editoriale dell'Avv. Romualdo Truncè, presidente della Camera Penale di Crotone

Immaginate che domattina il Presidente Mario Draghi si alzi e decida di scioperare,
giustificando la sua inoperosità come forma di protesta ad un’attività legislativa che
non condivide.
Sostituite al rappresentante del potere esecutivo quello del potere giudiziario, e
immaginate che domani la magistratura scioperi in blocco, perché non condivide il
contenuto di una legge.
Gridereste allo scandalo?
No, perché è esattamente ciò a cui assistiamo, passivi ed anestetizzati da qualsiasi
forma di stupore di fronte a quello che, a Montesquieu, sarebbe invece parso come
una catastrofe.
E’ principio illuministico ancora vivente nei testi di diritto costituzionale quello della
rigida separazione dei tre poteri dello Stato, che devono mantenersi indipendenti ed
autonomi l’uno dall’altro.
Ma quando uno dei tre poteri pretende di non conformarsi al decisum dell’altro,
allora, al diavolo la separazione dei poteri dello Stato, ma soprattutto al diavolo
l’esercizio stesso del potere, se può passare la possibilità di non esercitarlo come
forma di protesta.
Eppure ci avevano insegnato che i Giudici sono soggetti soltanto alla legge, sicchè oggi
appare ancora più spaventoso che la magistratura pretenda di modificare con una
protesta astensionistica, l’unico dictat alla quale è subordinata, appunto la legge,
espressione della sovranità dello Stato.
La protesta astensionistica come rimedio ad una legge che non piace, ma che ancora
non è entrata in vigore, appare così qualcosa di innaturale rispetto alla previsione
dettata dalla Carta fondamentale per bilanciare l’insorgere di contrasti tra i tre poteri:
il ricorso alla Corte Costituzionale, peraltro espressione suprema del potere
giudiziario, assolve proprio a questa funzione.
Pertanto, se il fascicolo delle performance non piace, che si ricorra alla Consulta
quando il nuovo ordinamento giudiziario farà diventare il famigerato fascicolo,
strumento di verifica diretta dell’operato dei magistrati.
Che sia la Consulta a dirci se questa nuova metodologia di valutazione è in contrasto
con la Costituzione e vuole davvero ridurre i giudici a burocrati, schiavi del
precedente, produttori di numeri, foraggio per statistiche.
Quanto, fa male, poi, quella pagella fatta di voti espressi anche dagli avvocati!
Ma badiamo, non saranno certo gli avvocati con il loro “voto unitario” a giudicare i
giudici, nelle previsioni della riforma. Il loro voto peserà quanto quello del professore
di educazione fisica agli scrutini. Nessuno potrà bocciare l’alunno perché è un po’
troppo sedentario.
Perché allora tanto parlare?
Forse per coprire, con molto rumore, il vero vento
di novità dato dal referendum del prossimo 12
giugno in materia di composizione dei consigli
giudiziari, allargato ai membri laici, con maggior
peso decisionale?
Forse per paura che qualcuno, investito della
funzione di “giudice del giudice” ne approfitti per
spargere sale su una ferita ancora aperta da uno
scandalo recente che ha discreditato un’intera
categoria?
La verità è che nessun magistrato della Repubblica si sente più arroccato – se mai in
passato lo è stato – su una posizione intangibile, perché l’aura sacramentale dell’icona
del giudicante figlio di Dike è stata persa da tempo.
All’avvocatura farebbe immenso piacere pensare che, in cuor suo, ogni Giudice, che
onori il sentimento della giustizia che esercita in nome del popolo italiano, sappia
quanto sia indispensabile una reale verifica della qualità del giudizio di se stesso,
prima ancora di qu ella del collega della porta accanto.
E’ troppo evidente che il meccanismo delle valutazioni creato con la riforma del 2006
è fuffa, se è vero che oggi il 99 per cento dei magistrati avanza di carriera con
automatiche ed ottime valutazioni di professionalità rilasciate solo pro forma.
Non abbiamo i migliori giudici del mondo, abbiamo solo un inutile e finto sistema di
valutazione, che va modificato.
Non è sufficiente dopo aver passato l’esame, frequentare la Scuola Superiore della
Magistratura e svolgere il tirocinio formativo se poi, nessuno, realmente, verifica la
qualità del giudizio reso nel corso degli anni.
Se il fascicolo delle performance avrà un peso reale in quelle valutazioni, allora
smaschererà l’inettitudine di alcuni magistrati che non sono più all’altezza della
funzione esercitata; ma nel fascicolo non confluirà altro che l’opera omnia del giudice,
che egli stesso non dovrà temere, perché nessuno può avere paura di se stesso, se è
a posto con il proprio operato.
Potrà fare paura il peso futuro assegnato alla percentuale di sentenze riformate, nel
bilancio complessivo della valutazione; ma non è forse questo il parametro più
immediato che valuta la qualità della giurisdizione?
Su questo tema, qualche esponente della magistratura ha detto che per non rischiare
di collezionare troppe sentenze riformate, ci sarà un appiattimento dei giudizi sui
precedenti, e molte sentenze di “giurisprudenza difensiva”. Nessuno oserà, pochi
saranno i giudici ardimentosi e temerari e ciò andrà a scapito dell’imputato.
A me questa sembra una minaccia velata di una futura valanga di condanne, quando
invece la riforma, che assegna un peso più incisivo al valore della giurisprudenza di
legittimità, può portare a risultati esattamente opposti, specie in materia cautelare,
quando bisognerà essere più lungimiranti e vedere in chiave prospettica, operando
una prognosi sul futuro processo di merito.
Il pubblico ministero che nel suo fascicolo personale collezionerà una statistica
negativa in termini di misure cautelari revocate da sentenze di assoluzione – arrivate
spesso troppo tardi – potrà conformarsi al precedente in chiave più garantista per
l’indagato, da perseguire a piede libero.
Ed a proposito di pubblico ministero, si è detto che il divieto di passaggio di funzioni,
da giudicante ad inquirente (o viceversa), per più di una volta nel corso della carriera,
rischia di configurare il mostro del “p.m. a vita”.
Il mostro, in verità, è quello partorito dal sonno della ragione, come Francisco Goya
raffigura nel suo celebre dipinto.
Equilibrio e raziocinio sono necessari per calibrare le aspettative opposte che
provengono da magistratura e avvocatura sui temi caldi della riforma
dell’ordinamento giudiziario, perché non è vero che il futuro assetto ordinamentale
riguarderà solo i magistrati.
Chi vivrà le conseguenze dirette della riforma, sarà, al solito, sempre lui, il vero ed
unico protagonista del processo, l’imputato, colui che, nelle giornate di prossima
astensione vedrà irrimediabilmente posticipato il giorno del giudizio.
Avv. Romualdo Truncè

Certified
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More

Privacy & Cookies Policy
404