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Confisca diretta di denaro anche se il profitto è post reato

Corretto, secondo la Corte di cassazione, l’operato dell’Agenzia che ha considerato le somme depositate sul c/c derivanti dal risparmio fiscale generato dall’illecito precedentemente commesso

Ammissibile la confisca diretta di somme di denaro acquisite da una società successivamente alla data di consumazione del reato da parte del legale rappresentante.

Il caso
Con la sentenza n. 6576 del 14 febbraio 2024, la Corte di cassazione ha affermato l’ammissibilità della confisca diretta di somme di denaro pur se acquisite successivamente alla data di consumazione del reato.

La questione muove dalla richiesta di dissequestro di somme emerse dai rapporti bancari riferibili alla società, eccedenti il saldo dei conti correnti alla data dell’ultima delle indebite compensazioni oggetto di addebito, ex articolo 10-quater del Dlgs n. 74/2000, rinvenute su un rapporto bancario acceso in epoca successiva.

Il difensore dell’imputato sosteneva che il profitto del reato è rappresentato dal risparmio di spesa conseguente a indebite compensazioni. A tal proposito, evidenzia che il profitto da risparmio di spesa ha ad oggetto il saldo attivo presente sul conto corrente del contribuente al momento della consumazione del reato. Di conseguenza, le somme sequestrate, non potendo essere “risparmiate” in quanto rinvenute su conto corrente acceso dopo la consumazione del reato, non possono costituire profitto del reato, ma rappresentano unicamente l’unità di misura equivalente del debito fiscale scaduto e non onorato. Una diversa interpretazione legittimerebbe una confisca diretta su somme che non sono il profitto del reato, con conseguente violazione dell’articolo 12-bis, Dlgs n. 74/2000.

Le questioni in tema di confisca nei reati tributari
È bene preliminarmente ricordare il testo dell’articolo 12-bis del Dlgs 74/2000, recante la disciplina dei reati tributari.

Il citato articolo 12-bis, rubricato “confisca”, dispone che “in caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.

La norma prevede due tipi di confisca: la confisca diretta (dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato) e la confisca per equivalente (beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo o al profitto).

La distinzione non è di poco conto poiché mentre la confisca diretta ha natura di misura di sicurezza patrimoniale, la confisca per equivalente ha natura eminentemente sanzionatoria, comprovata dall’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il reato e i beni oggetto di confisca, con tutto quanto ne deriva in tema di garanzie costituzionali.

Diviene, quindi, rilevante individuare quando la confisca sia diretta, abbia cioè come oggetto il prezzo o il profitto del denaro. Se il prezzo del denaro è da intendersi quale compenso per il reato commesso, più dibattuta è stata la nozione di profitto, genericamente intesa come il vantaggio economico derivante dal reato.

È stato discusso se possa considerarsi “profitto” non solo un incremento del patrimonio, ma anche un “risparmio di spesa”.

Nella sentenza in commento, la Corte di cassazione, preliminarmente, ribadisce l’ormai consolidato principio reso dalla sentenza delle sezioni unite n. 18374/2013, Adami, per cui, “in tema di reati tributari, il profitto confiscabile è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario”.

Tale principio non è stato mai messo in discussione. Oggetto di vivace dibattito è stato, invece, il tema della confisca diretta delle somme di denaro rinvenute nella disponibilità di una persona giuridica

Le sezioni unite 10561/2014, Gubert, in primis, hanno affermato che è legittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto rimasto della disponibilità di una persona giuridica, derivante dal reato tributario commesso dal suo rappresentante, non potendosi considerare l’ente una persona estranea.

È stato, poi, contestato che le somme di denaro possano sempre e comunque costituire oggetto di confisca diretta, anche quando non sia ravvisabile un legame tra le stesse e il reato o sia accertata la loro provenienza illecita.

Sul tema sono intervenute le sezioni unite n. 31617/2015, Lucci, enunciando il principio per cui “qualora il prezzo o il profitto c.d. accrescitivo derivante da reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme depositate su conto corrente bancario, di cui il soggetto abbia la disponibilità, deve essere qualificata come confisca di diretta e, in considerazione della natura del bene, non necessita la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma oggetto di ablazione e il reato”.

Il principio è stato da ultimo ribadito dalle sezioni unite n. 42415/2921, secondo cui “la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione”.

Confisca diretta di somme acquisite successivamente alla consumazione del reato
In tema di reati tributari, è discussa l’ammissibilità della confisca diretta di somme di denaro acquisite da una società successivamente alla data di consumazione del reato da parte del legale rappresentante.

In particolare, la Corte ricorda che sul tema si sono nel tempo formati due orientamenti, la cui linea di demarcazione, di massima, si individua proprio nella richiamata sentenza delle sezioni unite n. 42415 del 2021:

  1. un primo orientamento, ante sezioni unite, ha sostenuto che, in tema di reati tributari, la natura fungibile del denaro non consente il sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta delle somme depositate sul conto corrente bancario di una società successivamente alla data di consumazione del reato da parte del legale rappresentante dell’ente, in quanto queste, non derivando dal reato, non possono costituirne il profitto
  2. un orientamento opposto si è sviluppato dopo la sentenza delle sezioni unite richiamata, il cui principio di diritto è stato ritenuto applicabile anche ai reati tributari, in tutti i casi in cui il profitto consista in un risparmio di spesa, atteso che l’accrescimento patrimoniale e il mancato decremento delle risorse monetarie nella disponibilità del soggetto che ha tratto profitto dall’illecito rappresentano concetti equivalenti (ex multis, Cassazione, n. 3575/2021 e n. 11630/2022).

In seguito alla decisione dell sezioni unite del 2021, una sentenza isolata ha affermato che, in tema di reati tributari, le somme di denaro affluite sul conto corrente della gestione commissariale di una società in data successiva alla consumazione del delitto a opera del suo amministratore non sono suscettibili di confisca diretta in quanto, non derivando da reato, non ne costituiscono il profitto sostenendo che le sezioni unite facciano riferimento all’ablazione di una somma “già entrata” nel patrimonio dell’autore del reato a causa della commissione dell’illecito e ivi ancora rinvenibile.  Nel caso del risparmio di spesa, poiché la somma non può ritenersi “entrata” nel patrimonio dell’autore a causa della commissione dell’illecito, il denaro acquisito successivamente “rappresenta un’unità di misura equivalente al debito fiscale scaduto e non onorato, confiscabile se ricorrono i presupposti della confisca per equivalente”.

La soluzione prospettata
Il Collegio condivide l’orientamento maggioritario, di cui al punto ii), per cui il principio di diritto espresso dalle sezioni unite deve ritenersi applicabile anche ai reati tributari e a tutti i casi in cui il profitto consista in un risparmio di spesa.

Le sezioni unite n. 42415/2021 hanno, infatti, enunciato un principio di carattere generale, senza operare alcuna espressa distinzione tra profitto costituito da “accrescimento patrimoniale” e profitto integrato da “risparmio di spesa”, distinzione che pur ragionevole sotto il profilo empirico e classificatorio, non risulta recepita da disposizioni normative in materia di confisca, tanto da far rilevare un’indicazione del legislatore favorevole a differenziare il regime giuridico delle due categorie.

Inoltre, anche nel profitto determinato dal risparmio di spesa viene in rilievo il denaro, quale archetipo di bene corrispettivo di valore: in questa ipotesi, il denaro rileva quale somma non versata a causa della commissione del reato. Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che il profitto del reato, quando consiste in un risparmio di spesa, non sarebbe mai costituito da denaro, perché non vi è mai una somma di denaro fisicamente identificabile che “entra” nel patrimonio del beneficiato.

Ciò, però, comporterebbe la generale esclusione, per tutte le ipotesi di profitto integrato da risparmio di spesa, della ammissibilità della confisca diretta e, quindi, anche quando il denaro sia già presente sul conto corrente bancario al momento della commissione del reato.

L’ammissibilità della confisca diretta anche con riguardo alle ipotesi di profitto derivante da risparmio di spesa sembra, poi, discendere dallo stesso articolo 12-bis, comma 1, Dlgs n. 74/2000.

Sembra, infatti, che il legislatore, pur statuendo per reati in relazione ai quali il profitto sia generalmente determinato da “risparmio di spesa” – cosa che evidentemente il legislatore non poteva ignorare – abbia previsto come misura ordinaria proprio la confisca diretta. Pertanto, non vi è spazio per un’ulteriore rimessione della decisione alle sezioni unite della Corte.

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