L’indignazione del web: non lasciamolo solo! Editoriale di Alessandra D’Andrea. Roma – Ho impiegato giorni per scrivere questo editoriale, per ponderare e pesare bene le parole da usare che, se messe nero su bianco nell’impeto delle emozioni dopo l’incontro con Capitano Ultimo, sarebbero state forse diverse, non adatte. Non sono una tecnica ma solo un’umile scribacchina che riporta notizie a volte di pancia, troppo spesso col cuore. In questa mia veste, ed in quella di onestà cittadina e contribuente, vorrei quelle risposte che tanti come me da mesi cercano. Senza scendere nella dietrologia ossessiva e polemica, vorrei capire quando la mafia ha smesso di essere un pericolo per tutti, così da portare a chiedere la revoca della scorta al Colonnello De Caprio? A quando risale il pentimento di un Riina, di un Provenzano, di un Messina Denaro, di un Biondino o di un Bagarella, se a distanza di pochi mesi dalla sentenza del Tar che nel giugno scorso che gliela restituiva, l’UCIS chiede nuovamente la revoca della tutela di 4° livello? Lo incontro come sempre nel suo ufficio, con la radio accesa in sottofondo, circondato dai suoi fedelissimi, quegli uomini nell’ombra che da anni non lo abbandonano, provando un senso di impotenza di fronte a questa nuova richiesta. E lo ascolto presa ogni volta dal suo carisma, dalla sua forza di combattente, chiedendo cosa pensa di questa notizia. “Guardo le cose che accadono” risponde ” leggo ciò che è scritto nei documenti e vedo che c’è un attacco persistente teso a dimostrare che Cosa Nostra non è più pericolosa, quasi a minimizzare la pericolosità dell’associazione mafiosa, a scardinare quei meccanismi che ci hanno tutelati per tanti anni, quali il regime del carcere duro“. Nello specifico, l’articolo 41 bis dell’ordinamento carcerario, al comma 2 bis recita testualmente che ” la proroga ( del regime del cosiddetto “carcere duro”) è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto.” Viene spontaneo chiedersi, dunque, quando un mafioso smetta effettivamente di essere tale, se il “mero decorso del tempo non costituisce, di per sé , elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa“, come stabilito dal legislatore. Sarebbe opportuno ricordare ciò che la storia, dal Generale Dalla Chiesa a Capaci, ci insegna ossia che la strategia mafiosa più vincente è stata sempre quella di delegittimare le persone che avevano il potere di combatterla, facendo in modo che restassero da sole, isolate e per questo facilmente eliminabili. Falcone diceva infatti che “si muore generalmente perché si è soli e privi di sostegno e che la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.” Sarebbe ancora più opportuno leggere le relazioni redatte semestralmente dalla DIA
Alessandra D’Andrea
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