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Covid19, intervista al prof. Tarro: “misure valide ma tardive, serve informazione non ansiogena”

Roma – Il parere dell’autorevole virologo prof. Giulio Tarro ricercatore di fama mondiale sulle colonne di Uffici Stampa Nazionali. Un nome noto alla scienza ma poco noto agli schermi televisivi in questi ultimi giorni. In questa intervista che il prof. Tarro ha rilasciato a Uffici Stampa Nazionali:

1)      Prof. Tarro, cos’è secondo lei la virosi da Covid-19, potenziale pericolosa pandemia o ricorrente virosi stagionale gonfiata da un’informazione allarmistica e comunque inadeguata rispetto alla reale entità del fenomeno?  R.  Fino a meno di 20 anni addietro i coronavirus rappresentavano una famiglia virale che durante il periodo invernale causava dal 10 al 30% dei raffreddori. Adesso il nuovo coronavirus COVID-19 da una malattia febbrile con impegno nei casi più severi di una polmonite che può avere la necessità perfino di un respiratore.
In tal senso, come giudica le drastiche misure assunte dal governo per contenere la diffusione del contagio? R.  Proverbio: decisi di apporvi delle solide porte di ferro al posto del legno, dopo che i ladri però avevano compiuto razzie. Pertanto le misure prese adesso sono valide, ma tardive.
2)      A suo giudizio, il tasso dei contagiati in Italia si avvicina a quello reale o il fenomeno è assai più esteso? E, in quest’ultimo caso, come commenta l’abbassamento del tasso di mortalità che ne conseguirebbe? R. Faccio mio quanto riportato online dal New England Journal of Medicine: “Il tasso di mortalità associato al COVID-19 potrebbe essere considerevolmente inferiore all’1%, anziché del 2% riportato da alcuni gruppi, come dichiarato da Anthony Fauci del National Instiitute of Allergy and Infectious Diseases statunitense sulla base di un rapporto incentrato su 1099 pazienti con COVID-19 confermato in laboratorio provenienti da 552 ospedali cinesi. Questi pazienti presentavano un ampio spettro di gravità della malattia, e se si presume che il numero di casi asintomatici o minimamente sintomatici sia di diverse unità di grandezza superiore a quello dei casi riportati, il tasso di fatalità della malattia ricadrebbe molto al di sotto dell’1%.
Ciò suggerisce che le conseguenze cliniche complessive del COVD-19 potrebbero in definitiva essere simili a quelle di una grave influenza stagionale, che presenta un tasso di fatalità dello 0,1% circa, o di un’influenza pandemica come quella del 1957 o del 1968, piuttosto che a quelle della SARS o della MERS, caratterizzate rispettivamente da una fatalità del 10% e del 36%.
Fonte: popsci.it (New Engl J Med online 2020)
3)      Il palese intasamento delle unità di terapia intensiva e di rianimazione, a fronte di un numero ancora ragguardevolmente basso di soggetti che presentano complicanze di rilievo, secondo lei è dovuto a carenze strutturali della rete ospedaliera nazionale o a piuttosto sovrastima dei casi da trattare da parte dei medici preposti? R. Per permettere alle strutture sanitarie interventi mirati dobbiamo fare a meno di una informazione che provoca ansia e piena di falsi appelli “a non farsi prendere dal panico”, perchè a questo punto anche una influenza stagionale non dico dell’anno scorso, ma di quegli anni in cui effettivamente è stato notato un incremento dei casi – vedi l’aviaria, la suina, quella stessa di quest’anno – avrebbero potuto portare ad una simile emergenza.
4)      Sulla base della sua esperienza e degli studi che lei ha condotto, quale tipo di evoluzione prevede per questa virosi, considerato che, da quanto almeno abbiamo appreso dalle istituzioni sanitarie, la curva di crescita non è ancora giunta al suo picco? R. Le prospettive a questo punto dipendono dal comportamento epidemiologico tipo prima SARS esaurendosi in estate e rimanendo una zoonosi nella provincia di origine oppure dando luogo ad epidemie sporadiche come la MERS e l’influenza aviaria relativamente per pochi individui ovvero, infine, diventando una virosi respiratoria umana stagionale come nel caso dell’ultimo virus influenzale del 2009 o degli altri coronavirus regionali meno aggressivi.
5)      Si è ipotizzato l’uso terapeutico di un farmaco biologico già in uso per la terapia dell’artrite reumatoide e ancora di un antivirale che inibirebbe le proteasi virali a suo tempo impiegato contro l’Ebola virus. Che ne pensa? R.  L’ultima sperimentazione clinica su due casi con un prodotto difficile da maneggiare mi lascia perplesso, perchè non può certo risolvere il 98% dell’epidemia, Il TOCILIZUMAB l’immunosoppressore dell’artrite reumatoide, è un prodotto poco malleabile. Non stimo che ne valga la pena, riducendo ulteriormente la risposta immune al virus del paziente e lasciandolo scoperto alla reinfezione. In attesa della preparazione di un vaccino specifico che possa prevenire la ulteriore diffusione di questo coronavirus COVID-19, bisogna tenere presente una terapia sintomatica e similare a quella dell’influenza stagionale, specialmente per i soggetti più anziani e con svariate patologie che li rendono più sensibili al virus – diabetici, cardiopatici, broncopatici eccetera. Gli antibiotici servono per le infezioni batteriche secondarie, mentre i cortisonici vengono sconsigliati.
Infine gli antivirali suggeriti vanno dall’Interferon e la Ribavirina, alla terapia antiHIV con Lopinavir/Ritonavir per finire al nuovo prodotto Remdesivir usato per l’ebola. Ovviamente come le gammaglobuline per il tetano, gli anticorpi del plasma dei soggetti guariti rappresentano un logico impiego per i pazienti più gravi.
6)      Ritiene si sia ancora in tempo per la produzione di un vaccino da distribuire su vasta scala?  R. Un vaccino specifico che prevenga la diffusione di questa epidemia da COVID-19 deve essere preparato con tempi minimi che tengano presente la sicurezza del suo uso e quindi una etica di somministrazione con tempi indicati dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) fino a 18 mesi, mentre un vaccino influenzale stagionale può richiedere soltanto alcuni mesi che permettono la protezione di un nuovo continente rispetto a quello dove è originata l’influenza epidemica.
7)      In sostanza e in conclusione, ci dica per quale motivo dobbiamo temere – o non temere – il coronavirus. R. Presumo che la scienza sia democratica, infatti i virus non hanno pregiudizi nè di sesso, nè di censo, pertanto l’attuale virosi da coronavirus si distingue da una normale influenza per la velocità di diffusione del virus che può portare ad un eccesso contemporaneo della necessità di ricorrere ai respiratori e reparti di terapia intensiva che abbiamo politicamente cancellati prima e non deliberati poi ad inizio dell’epidemia (per esempio come fatto in Francia).

Daniele Imperiale

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