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L’opposizione al decreto ingiuntivo non entra nei registri immobiliari

Sono trascrivibili solo le domande che eccepiscono l'annullamento o la nullità di “atti” di natura negoziale. I provvedimenti giurisdizionali a carattere decisorio, invece, vengono sempre individuati con le parole “sentenza” o “provvedimento”

ROMA – La domanda giudiziale con cui, ai sensi dell’articolo 617 cpc, viene proposta opposizione a un decreto ingiuntivo o a un altro provvedimento esecutivo non può essere trascritta nei registri immobiliari.
Lo ha confermato il Tribunale di Forlì con il decreto n. 7057 del 22 dicembre 2021, ribadendo anzitutto come, in virtù del principio di tassatività, “la trascrizione debba essere consentita solo ed esclusivamente nei casi normativamente previsti”. Nel caso delle domande giudiziali, peraltro, tale principio deve essere inteso “in modo addirittura più rigido rispetto alla trascrizione degli atti e delle sentenze”, senza alcuna possibilità di interpretazione estensiva dell’elenco puntualmente delineato dall’art. 2652 codice civile.

La norma in sintesi
In particolare, la pronuncia chiarisce come l’opposizione al decreto ingiuntivo non possa trovare accoglimento in conservatoria neppure ai sensi del punto n. 6 dell’articolo 2652 cc, ove si consente la sola trascrizione delle “domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l’annullamento di atti soggetti a trascrizione”.
La parola-chiave, osserva il Tribunale, è “atti”. Nel testo dell’articolo 2643 cc – che delinea le altre formalità suscettibili di trascrizione, e che deve essere letto in stretta correlazione con l’articolo 2652 del codice civile, relativo alle domande giudiziali – il termine “atti” designa sempre e solo gli atti negoziali e mai i provvedimenti giurisdizionali a carattere decisorio, che vengono invece sempre individuati dal legislatore in forma espressa, con le parole “sentenza” o “provvedimento”. È il caso dei punti nn. 7 (“atti e sentenze di affrancazione del fondo enfiteutico”) e 9 (“atti e sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni”), ma soprattutto del punto n. 6, dove si parla proprio di “provvedimenti – e non già di atti – con i quali nell’esecuzione forzata si trasferiscono la proprietà di beni immobili e altri diritti reali immobiliari”.
Pertanto i provvedimenti esecutivi come il decreto di trasferimento, pur essendo indubbiamente “atti giuridici” in senso lato, non rientrano nel novero degli “atti” di cui al punto n. 6 dell’articolo 2652 del codice civile, in quanto il legislatore codicistico intende qui fare specifico riferimento alle sole attività di natura negoziale, non disponendo della categoria, soltanto dottrinale, del “negozio giuridico”.
Che sia questa la corretta interpretazione della parola “atti”, lo si può desumere non soltanto dal parallelismo testuale con l’articolo 2643 c.c., ma anche dalla lettera stessa della disposizione in esame, che come già si è detto parla di “domande dirette a far dichiarare la nullità o a far pronunziare l’annullamento di atti soggetti a trascrizione”. Le due ipotesi di invalidità che vengono richiamate, ossia la nullità e l’annullabilità – osserva il Tribunale di Forlì – “possono essere predicate alternativamente solo con riferimento agli atti negoziali, non conoscendo invero il nostro sistema processuale casi di annullabilità di provvedimenti giurisdizionali, i quali possono essere soltanto nulli e non già annullabili”.
Pertanto, l’opposizione a un decreto ingiuntivo o a un altro provvedimento esecutivo non può essere trascritta: accogliere la domanda nei registri immobiliari in virtù del punto n. 6 dell’articolo 2652 cc significherebbe adottare un’interpretazione della normativa di natura non soltanto estensiva – in contrasto con il principio di tassatività – ma addirittura analogica, operazione “derogatoria ed eccezionale”, che di certo non può avere cittadinanza in materia di trascrizione delle domande giudiziali, ma solo ove venga ravvisato un vuoto legislativo.

Le tesi del reclamante
Nel respingere il reclamo contro la riserva apposta dal conservatore di Forlì al momento della trascrizione, il Tribunale si è soffermato anche su alcune tesi dell’attore.
Per il reclamante, il decreto di trasferimento non sarebbe un autentico provvedimento giudiziario, bensì “un negozio processuale di trasferimento del bene”. L’assunto è stato respinto dai giudici forlivensi, che hanno chiarito come “non si possa dubitare in ordine alla natura giurisdizionale del decreto, emesso dal giudice all’esito del procedimento di vendita forzata e non a caso suscettibile di opposizione esecutiva”.
Non ha trovato accoglimento neppure l’invocazione della pronuncia della Corte costituzionale n. 318/2009, secondo la quale “nell’ordinamento attuale possono essere trascritti anche atti non espressamente contemplati dalla legge purché producano gli stessi effetti degli atti previsti in modo esplicito. In sostanza, dunque, l’atto da trascrivere viene identificato per relationem all’effetto che è destinato a produrre”.
Nel caso di specie, infatti, l’affermazione della Corte si riferiva espressamente alla previsione residuale di cui all’articolo 2645 cc, che non riguarda l’articolo 2652 del codice civile. Non a caso, in quella circostanza, l’argomento del contendere era un atto di asservimento a garanzia di un vincolo di pertinenzialità e non una domanda giudiziale.

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