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Giordano Bruno, come oggi il rogo al libero pensiero

La sentenza venne eseguita a Roma a Campo de’ Fiori, dove il frate domenicano, filosofo e scrittore, fu arso vivo

Roma – E’ una data importante il 17 febbraio 1600. Epoca lontana ma che a distanza di tantissimi anni ha ancora un grande significato. Molti che passano per Campo de’Fiori probabilmente non conoscono la storia che lega quella statua così austera, così triste che sotto questa forma è riuscita a vivere a livello simbolico ancora per tanti anni ed è attuale più che mai a livello di pubblica riflessione. Considerato eretico, Bruno, il cui vero nome era Filippo e non Giordano, nacque a Nola in provincia di Napoli nel 1548. Indipendentemente dall’essere d’accordo o meno sulle sue teorie, ancora oggi non si può accettare, come allora del resto, che un essere umano venisse bruciato vivo in pubblica piazza per le sue idee eretiche o men che siano. Il seicento, fu un secolo travagliato per molti aspetti, splendente per altri, ma quel 17 febbraio di cotanti anni fa venne scritta una delle pagine più buie della storia.

Il 17 febbraio è Uua data che celebra anche la conquista dei diritti civili da parte dei valdesi – e successivamente degli ebrei – con l’emanazione nel 1848 delle Regiae Patenti di Carlo Alberto. Il pensiero va  anche ai falò della Val di Pellice che ogni anno in questo giorno vengono gioiosamente accesi in ricordo della fine per la comunità valdese di secoli di persecuzioni.

La statua del frate domenicano nella famosa Piazza  di Roma, fu un’ opera voluta dalla Massoneria e realizzata dallo scultore  Ettore Ferrari che fu Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, è lì da  dal 1889 ad indicare come un radioso faro nella notte la via da  seguire.  Bruno ricerco’ la Verità e così scrisse nello Spaccio della Bestia  Trionfante:  “È la cosa più sincera de tutte… Con l’essere anco  dileggiata e tradita, resuscita se sostene e s’augumenta; senza  difensore e protectore, se defende e se demonstra a quel che  per se stessa la vocano”. Versi aurei che non hanno bisogno di alcun  commento.

Il frate domenicano era un filosofo, scrittore, di lui resta famosa la frase pronunciata  davanti ai giudici che stanno pronunciando la sentenza della sua condanna a morte: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell’ascoltarla).

La libertà di pensiero è stata una conquista lunga e travagliata spesso ancora umiliata ma quel rogo in cui Bruno mori in modo così atroce deve servire di monito ancora oggi. Passi avanti, sicuramente nel corso del tempo sono stati fatti. Anche quel rogo, che turbò simbolicamente il mondo, ebbe dei suoi effetti. Rispetto ad oggi, però, la comunicazione era diametralmente opposta. Un fatto poteva essere conosciuto anche dopo mesi dal suo accadimento. E poco si poteva fare per tornare indietro. Ci sembrano epoche lontanissime eppure le persone, anche allora erano persone.

Quella città eterna, quel rogo rappresentano oggi più che mai l’esigenza di libertà. Una libertà repressa dalla stessa Chiesa Cattolica che aveva sempre timori che teorie alternative alla propria potessero scalfirne non tanto la fede, ma il potere da esso derivante. Non veniva tollerata questa voce stonata del coro, il tribunale dell’inquisizione fu il luogo ove venne emanato un verdetto che ancora oggi grida vendetta morale. E mentre oggi analizziamo la repressione, il rogo al libero pensiero ne possiamo apprezzare sempre di più i suoi fondamenti che sono parte integrante e sostanziale della libertà dell’uomo. Beninteso, ci sono sempre regole da rispettare, il libero pensiero viaggia con il libero arbitrio, la capacità per l’appunto di saper scegliere utilizzando la ragione. E la ragione si alimenta con la cognizione, con lo studio e con il confronto. Il pensiero scomodo oggi viene comunque tollerato, e viviamo comunque un’epoca democratica, ma oggi in questo giorno abbiamo il dovere di riflettere su molte cose che ora per allora hanno ancora un significato regolatorio della vita di ogni uomo.

Daniele Imperiale

 

LA STORIA

Diciassettenne, Filippo Bruno veste l’abito domenicano a Napoli e prende il nome di Giordano. Sacerdote nel 1572, dottore in teologia tre anni dopo, animato da un’insaziabile passione per lo studio, Giordano Bruno diviene in breve tempo uno dei più brillanti intellettuali d’Europa. Ma la passione per la verità lo pone inevitabilmente in contrasto con la cultura dogmatica del tempo (un’atmosfera oscurantista e retriva di cui sarà vittima lo stesso Galilei, qualche decennio dopo). Inizia così un lungo peregrinare: da Napoli, dove venne aperto un processo a suo carico per eresia, si spostò a Roma. Nel 1576 Bruno abbandona l’abito domenicano e fugge nel Nord Italia, spostandosi da una città all’altra: Genova, Savona, Torino, Padova, Bergamo. Insegna astronomia a Noli (Liguria), pubblica i suoi primi libri a Venezia. Lo troviamo poi a Ginevra (dove aderisce solo per breve tempo al calvinismo) e a Tolosa (dove ottiene la cattedra di filosofia). Quindi si reca a Londra, dove incontra la regina Elisabetta e compone alcune tra le sue opere più importanti: La cena delle ceneri, che contiene la difesa dell’eliocentrismo copernicano; De l’infinito universo et mondi, in cui presenta la sua teoria di un universo infinito, composto da innumerevoli mondi; Lo spaccio della bestia trionfante e Degli eroici furori. Dopo aver suscitato le ire dei teologi di Oxford, soggiorna in Francia, Germania (insegna a Wittenberg, con la forte opposizione dei calvinisti), a Praga, Helmstedt, Francoforte e infine a Venezia, invitato dal nobile Giovanni Mocenigo che spera di apprendere da Bruno l’arte della memoria, quella “mnemotecnica” di cui il filosofo nolano è maestro. (bibl.)

Nel maggio 1592 Mocenigo consegna all’Inquisitore di Venezia un’accusa di eresia nei confronti di Bruno, che viene subito arrestato. L’anno successivo viene estradato a Roma, dove inizia un processo che durerà sette anni. Difende tenacemente le proprie tesi, in lunghi ed estenuanti interrogatori, probabilmente sottoposto a tortura, rifiutando di abiurare. Il tribunale del Santo Uffizio lo condanna infine alla pena capitale, in quanto eretico “formale, impenitente, pertinace”;  i suoi libri sono messi all’Indice e condannati al rogo. Giordano Bruno viene arso vivo a Roma, in Campo de’ Fiori, il 17 febbraio 1600.

Ma quali erano queste teorie così ritenute particolarmente pericolose e tali da condannare al rogo sia i libri che le contenevano, sia il loro autore? Queste le sintesi di alcuni pensieri:

  • L’universo è infinito. Se Dio è la causa dell’universo, e Dio è infinito, l’universo non può che essere infinito. Se l’universo è infinito, non ha senso parlare di sopra e sotto, destra e sinistra, centro e periferia, e innumerevoli sono i pianeti abitati.
  • Se Dio è infinito, non ha limiti. Dio è il principio razionale insito nelle cose, quindi coincide con la natura (è immanente, non trascendente). Tutto è animato. Si tratta di una concezione panteistica dell’universo.
  • Difesa della teoria copernicana. Bruno quindi ridicolizza la visione geocentrica aristotelico-tolemaica: la Terra e l’uomo non sono al centro dell’universo. Fa notare che “Non più la luna è cielo a noi, che noi a la luna” (se si potesse andare sulla Luna, vedremmo la Terra nel cielo come fosse la Luna).
  • La religione (il “dogmatismo dei teologi”) e lo studio della natura (la “libertà dei filosofi”) si collocano in ambiti diversi, ma possono convivere: la religione ha un’utilità pratica e politica, serve a educare e governare “i rozzi popoli”, mentre la ricerca filosofico-naturalistica non ha bisogno di “fede”.
  • Esaltazione del lavoro umano, sia manuale che intellettuale. L’ozio e la rassegnazione sono i peggiori vizi dell’uomo. A differenza degli altri esseri, l’uomo possiede l’intelligenza e la mano che gli permettono di modificare la natura e continuare così l’opera di creazione divina (creando manufatti e opere dell’ingegno, l’uomo si avvicina all’opera creatrice di Dio). L’uomo è quindi superiore a tutti gli altri esseri non perché dotato di anima, ma semplicemente in quanto è fornito di determinate caratteristiche fisiche (mano e intelligenza).
  • Lo studio della natura è la più alta aspirazione dell’uomo. La passione per la conoscenza e la verità sono paragonati a una passione amorosa, un “eroico furore”.

Tali tesi fecero di Giordano Bruno un innovatore della filosofia rinascimentale e un precursore della modernità. Spirito critico e spesso ribelle, insofferente verso qualsiasi forma di dogmatismo, testimone di verità, ha consacrato la propria vita alla studio, alla ricerca e alla difesa della libertà di pensiero. Una libertà che all’epoca era repressa e che oggi invece è più attuale che mai e quella statua che ancora si impone è il segno della libertà offuscata, della ragione scomoda repressa e cancellata dalla morte indotta da quella Inquisizione che di Santo aveva ben poco. Probabilmente si volle dare un segnale forte bruciandolo vivo, quasi come a costituire un monito per eventuali altri che avessero, dopo di lui, preteso di diffondere un pensiero fuori dal comune, dal rigore. Un rigore però vissuto in apparenza, ma non nelle segrete stanze del 600, dove il potere veniva esercitato nelle sue forme più becere, come per l’appunto la condanna al filosofo.

Molto di più andrebbe oggi capito su quel sacrificio che segnò comunque una epoca. Il solo fatto che ancora oggi a distanza di tanti anni Bruno sia attualizzato ed attualizzabile, e che i suoi concetti siano interpreti, anche prescindendo dalle convinzioni, su quanto il libero pensiero, il libero arbitrio costituissero non solo una filosofia di vita, ma l’essenza della libertà per l’uomo. Che all’epoca non poteva parlare se non in riga con i poteri del coro. La frase di Giordano Bruno, che ebbe a pronunciare i presenza dei giudici fece tremare coscienze, ma non impedì che un brutale omicidio venisse compiuto in pubblica piazza.

Oggi quella statua dall’aspetto oscuro, brilla ancora oggi più che mai per la libertà a perpetua memoria!

 

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