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Un libro sull’adolescenza e la ricerca di identità: “Il ragazzo che invidiava se stesso” dell’autore Davide Diren

Marco invidia se stesso. Ma come è possibile? Cosa è successo?
E’ un adolescente che non si piace, perché è attratto da ciò che vorrebbe essere, ma che non è.
Scopre così un modo facile e pericoloso per essere ciò che vuole, creando il Marco n° 2.
Ben presto i due si distanzieranno, in un rapporto progressivo di invidia che, con il tempo, cambierà direzione.
L’arrivo del Marco n°3 complicherà ulteriormente la situazione…

Davide Diren nasce a Milano nel 1977, ma cresce poi nell’hinterland, dove vive la sua adolescenza nel pieno degli anni ’90. E’ un periodo che lo segna sia in positivo che in negativo e che lo porta al bisogno di scrivere come puro sfogo. Attraversa più vite e molteplici esperienze personali, di studio e lavorative. Oggi è un imprenditore appassionato di psicologia e di filosofia orientale, che ama scrivere, leggere e, a discapito dell’età, giocare a calcio. E’ padre di una ragazza adolescente e di un altro che presto lo sarà.

Il titolo del libro cattura immediatamente l’attenzione. Come è nata l’idea di scrivere un’opera così particolare?

Avevo in mente da tempo questa storia, così come il suo titolo, che credo la rispecchi in pieno. La motivazione principale che mi ha spinto a scriverla è quella di poter essere in qualche modo di aiuto per gli adolescenti di oggi, provando ad avvicinarli agli adolescenti di ieri attraverso un’esperienza, alle emozioni e ai sentimenti che l’accompagnano. Sono stato adolescente negli anni ’90 ed è un periodo che ricordo ancora intensamente, per i suoi lati positivi e per quelli negativi. Ho sperimentato personalmente tanto di quello che descrivo, in parte direttamente e in parte indirettamente. Il tentativo, forse ambizioso, è quello di creare una linea comunicativa maggiormente empatica con gli adolescenti su questi temi così difficili. Forse diventa più utile immedesimarsi nella storia di un altro adolescente piuttosto che sentirsi dire da un adulto di non fare qualcosa.

Quali sono i temi principali che esplori e con quale stile narrativo hai deciso di raccontarli?

Affronto innanzitutto il tema dell’ingresso nell’adolescenza. I cambiamenti fisici, le nuove pulsioni, i nuovi desideri, le nuove speranze, le nuove esperienze e il modo di affrontarle. Tutto questo porta al tema dell’immagine di sé, che proprio in questo periodo si va formando e diventa un aspetto essenziale per la serenità individuale. La mancanza di serenità porta al tema del confliltto personale e, a sua volta, al possibile utilizzo di strategie nel tentativo di avere un controllo e di ottenere un cambiamento. Infine, i meccanismi subdoli dell’alcol che, facilmente, è in grado di sposarsi con le fragilità umane, ancor più con quelle di un ragazzo, facendogli credere di essere ciò che non è e allontanandolo dalla sua vera natura.

Ho raccontato questa storia utilizzando un linguaggio semplice e, nei discorsi diretti, tipico dell’età, del periodo e dei luoghi descritti. Ho poi voluto intervallare la descrizione degli avvenimenti con le riflessioni che accompagnano i vari passaggi, per fare in modo che si comprendano il più possibile i meccanismi che portano il protagonista ad una dipendenza.

Marco è il personaggio centrale. Puoi parlarci di lui? Chi è Marco all’inizio della storia e quali metamorfosi attraversa lungo il corso del libro? Quali sfide e scoperte caratterizzano il suo percorso?

Marco è il personaggio centrale e praticamente l’unico approfondito della storia. Nel primo capitolo ho introdotto il Marco bambino. Un bravo bambino cresciuto serenamente. Poi l’ingresso nell’adolescenza cambia tutto improvvisamente. Marco vuole crescere, vuole fare nuove esperienze, vuole vivere la sua età. Si rende conto tuttavia di non essere subito pronto. Da adolescente qual è vuole avere e vuole essere tutto subito. Non si dà il tempo necessario. Vive semplici momenti difficili della sua vita come grandi sconfitte. Vive anche i momenti belli e sono tanti. Però lui si focalizza su ciò che si convince di non avere, senza rendersi conto di quanto già possegga e di quanto potrà ancora crescere, semplicemente vivendo. Come tutti i ragazzi della sua età (negli anni ’90 non era proibito), inizia a bere qualche birra e a fumarsi qualche sigaretta. Poi però l’alcol trova le sue fragilità. Lo convince, lo cambia. E gli fa credere di aver trovato la soluzione. Marco dovrà pertanto convivere con due immagini di sé: il Marco n°1, quello non bevuto e il Marco n°2, quello bevuto. Nascerà così un rapporto di invidia, ma poi… Le cose cambieranno inevitabilmente, soprattutto dopo l’arrivo del Marco n°3.

Sei riuscito a descrivere l’adolescenza in modo molto dettagliato ed empatico. Come hai raggiunto questo risultato? Hai tratto ispirazione da esperienze personali o da ricerche specifiche?

Come dicevo anche in precedenza, ho vissuto molto intensamente gli anni della mia adolescenza e pertanto li ho semplicemente ricordati. Ho cercato di tornare là con la mente, togliendomi il più possibile di dosso la mia parte adulta e quella quasi inevitabile severità che tende ad accompagnarla. Sono papà di una ragazza di 14 anni e di un bambino di 11 e forse anche questo mi ha aiutato. Con loro ho rivissuto l’infanzia e ora l’ingresso nell’adolescenza. Mi hanno un po’ costretto a riguardarmi dentro e a recuperare alcune parti di me che avevo lasciato, anche non risolte, durante il mio percorso di crescita. Come dico anche in un passaggio del libro, questo fa parte dell’essere un papà: un figlio ti porta ad affrontare nuovamente ciò che avevi lasciato indietro. Ora lo fai per lui, ma fa bene anche a te.

Secondo te, come si può raggiungere la realizzazione personale? Quali suggerimenti o riflessioni emergono dalla lettura del tuo libro in merito a questo tema?

La realizzazione personale è un tema molto soggettivo. Certamente ha come elemento principale il “voler essere”. Questo “voler essere” deve essere senza dubbio alla nostra portata perché altrimenti si rischia una rincorsa all’infelicità. Se devo rispondere per me, tuttavia, credo che l’ideale sarebbe eliminare completamente il concetto di “voler essere” ed incominciare semplicemente ad “essere”. Entriamo un po’ in filosofia, ma penso che “essere” significhi “io”, mentre “voler essere” significhi “gli altri”. E noi dobbiamo vivere la nostra di vita, non quella degli altri. Ognuno di noi, così come Marco, ha le proprie qualità, i propri punti di forza e i propri punti deboli. Io ripeto molto spesso questa frase, che è anche un invito di riflessione finale nel mio libro: “Noi siamo la parte bella che ci ostiniamo ad ignorare”. Ecco, la realizzazione personale secondo me è trovare quella parte bella che già possediamo, per poterla accogliere, coltivare e far crescere, convivendoci in piena armonia ed imparando così finalmente ad “essere”.

A quale tipo di pubblico pensi che il tuo libro possa parlare di più e perché?

Il libro vuole parlare senza dubbio ai ragazzi, perché parla di loro, della loro vita, delle cose belle e dei pericoli che possono incontrare senza le giuste conoscenze o valutazioni. Ma proprio in merito a quest’ultimo punto, credo che i genitori possano e debbano fare da tramite e da supporto per i propri figli, cercando di evitare il più possibile quella sola imposizione di ciò che è giusto o sbagliato, della quale i ragazzi si dimenticano molto facilmente una volta che si ritrovano soli o con i propri coetanei. Forse conoscere la storia di Marco potrebbe avvicinare e sensibilizzare su questi temi sia gli adulti che i ragazzi. Mi ha fatto molto piacere, per esempio, sapere che una mamma lo stia leggendo in questi giorni insieme a suo figlio e che li stia aiutando molto a dialogare.

Infine, questo libro vuole parlare anche a quelle persone, giovani o adulti, che non si rendono conto di essere già dipendenti, ma che soffrono per la loro situazione. Potrebbe, lo spero, aiutarli nel primo passo fondamentale: ammettere.

Stai lavorando su altre opere in questo momento? Se sì, puoi darci qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri o sulle tematiche che stai esplorando?

Io mi definisco uno scrittore “per necessità”. Non è il mio lavoro, ma una cosa che mi piace fare da sempre, soprattutto come sfogo personale. Per questo motivo ogni tanto inizio a scrivere. Ho scritto anche qualche canzone che conservo gelosamente. Solo per me. Per quanto riguarda i libri, a volte lascio una storia che ho iniziato e la riprendo dopo molto tempo. Questo è uno di quei momenti. Ho interrotto qualcosa che stavo scrivendo per iniziarne un’altra. Poi però una nuova idea mi ha preso al punto di mollare ancora tutto per intraprendere un percorso tortuoso e affascinante al tempo stesso: vorrei parlare di una donna e della sua storia difficile. Vorrei riuscire ad addentrarmi completamente nei suoi pensieri e riuscire a comprenderla da vicino. E’ una bella sfida per un uomo. Non so ancora se riuscirò a completare quello che ho in mente, ma lo spero. La difficoltà starà nel perdere me stesso come punto di riferimento e di abbandonare quella “necessità” di scrivere a favore di un “desiderio” di scrivere e di capire. Vorrei mantenere il mio stile, se così mi è permesso chiamarlo, che mescola storia e riflessioni e che cerca spiragli negli angoli bui della vita umana.

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