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E’ morto il primo maggio, la triste festa del lavoro perduto

Editoriale – Mai come quest’anno la cosiddetta “Festa” del lavoro ha perso ogni suo ruolo e significato. Già negli anni scorsi veniva celebrata con il magone per le problematiche occupazionali che affiggevano la nazione. Il primo maggio, quello dedicato al concertone, alle celebrazioni e allo svago non è più. Questo giorno è morto. Di Covid ma di mille altre patologie concomitanti.

Una “festa” che non ha più il suo senso Manca il lavoro e i diritti fondamentali della libertà.  Quella costituzione lesa e violata ormai in molte delle sue parti oggi è un faro in via di spegnimento.

Il primo maggio duemilaventi dunque non ha assolutamente senso. Cosa dovrebbero festeggiare oggi i cittadini italiani? Un riposo infrasettimanale che conclude una sessantena che guarda con ansia alla “concessione” di allentamenti di vita. Non c’è bisogno di riposarsi perchè si è fermi da due mesi, e non solo nel fisico, si è fermi nell’anima. E anche chi lavora è fermo e non festeggia proprio nulla. Perchè il sistema intorno è agonizzante.

Ecco c’è da allarmarsi nel constatare fatti che hanno reso buio il diritto di guardare al futuro e quello di vivere il presente. A causa di chi? di un qualcosa che non è nemmeno un essere vivente e che però è in grado di ucciderci ed intubarci? Ed il genere umano eletto così potente, secondo solo al Padre Eterno possibile che nulla possa di fronte a tutto ciò?

Ai tempi del Covid, che entreranno nella storia buia, la guerra del terzo millennio è questa. Quella che si combatte ogni giorno con le ansie, le preoccupazioni, le notti insonni, i conti che non tornano, la coperta troppo corta che dove la tiri tiene qualcosa fuori.

E dunque ci sia “consentito” in questa festa di dissentire. Il lavoro non c’era, ed oggi ce ne sta sempre di meno. L’Italia si ferma per dare, ma resta viva per prendere. Le entrare sono ferme e le uscite sono invece in vita perfetta.

E la vita di molti dipende da una “curva” interpretata da aurei sanificatori che dall’alto della loro conoscenza sembrano voler insultare il popolo non per cosa viene detto ma per come viene detto.  La percezione cari signori è che ci stiate prendendo gusto. Si purtroppo è così. E non è detto che sia la  realtà ma ciò che siete riusciti a trasmettere con discorsi anaffettivi e burocratici questo è. Non si discute il fine per raggiungere i mezzi, ma in questa emergenza a comunicazione il voto è ZERO.

Non per tutti, c’è anche chi merita e che quando parla esprime realismo ed umanità, buon senso come nel caso di qualche vice ministro alla Salute per fortuna,  che almeno sembra essere rimasto un essere umano. Molto, tutto è trattato con troppa saccenza, come se gli italiani fossero colpevoli di esistere, bambinetti indisciplinati ai quali somministrare l’olio di ricino o spruzzargli l’acqua ramata per farli stare zitti.

Tutti hanno collaborato e stanno collaborando dando prova di un forte senso di responsabilità e questo è il popolo italiano quello che da sovrano è passato a suddito in un secondo.

Che servissero misure per “allentare” contagi covid è chiaro, ma sono state comunicate male e forse anche peggio, con un capo dello Stato che avrebbe dovuto egli parlare tutte le settimane a reti unificate e tranquillizare il popolo, o avrebbe dovuto impedire scelte unilaterali, che pur se necessarie,  non hanno il fondamento di base della democrazia. L’Italia arriva a questo appuntamento stremata nella mente da una informazione ansiogena senza precedenti che nessuno ha ben pensato di coordinare con i dovuti modi.

E quindi cosa c’è da festeggiare? Per ora nulla, il primo maggio è morto e quindi dobbiamo stare in casa perchè fuori ci sono le persone che stanno male, che muoiono in istrada,  che hanno la tosse, hanno la febbre e allora quando tutto sarà passato allora potremmo andare dai tutti. Ora però ci possiamo mettere dietro la finestra ma con la zanzariera sperando che lì non passi il coronavirus.

Daniele Imperiale – Direttore di Uffici Stampa Nazionali

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