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Roberto Maggi ricorda Maria Grazia Di Marzio: “un abbraccio di luce per la scrittrice venuta da lontano”

Roma –  “Mi piacerebbe pensare che i mondi intergalattici figurati da Maria Grazia Di Marzio, verso i quali ella propendeva ansiosamente e sulla cui esistenza non nutriva dubbi, siano adesso la sua accogliente dimora spirituale, una sorta di Twilight Zone di trasmigrazione felice. Perché questi rappresentavano uno degli interessi cardine su cui ruotava la sua vita. Più di una volta, infatti, magari davanti a un bel bicchiere di vino bianco, freddo e gorgogliante, ho avuto modo di ascoltare le sue (per me) stravaganti teorie sulle entità extraterresti, invero piuttosto arzigogolate, soprattutto quando si andavano a interconnettere in intrecci relazionali eterico-fisici con gli esseri umani.

Maria Grazia Di Marzio

Pensare però che le sue idee si basassero solo su congetture inconsistenti, un po’ campate in aria, sarebbe quantomeno riduttivo ed irriconoscente. Se è innegabile che le pratiche esoteriche la attraessero fatalmente, altrettanto incontestabile è il fatto che la nostra autrice si documentava, approfondiva, studiava. Ce ne dà prova anche la lettura del suo primo libro pubblicato, “Venuta da lontano” (Montecovello Edizioni, 2012), dove è evidente la percezione di come, ad arricchire le sue conoscenze, vi sia un’indagine storica e scientifica, una ricerca maniacale delle fonti, un’esplorazione di temi a lei meno consoni, come quelli a carattere biologico. Certo, altra cosa è poi convincersi che, almeno in parte, il genere umano, seppur nei vasti ambiti della finzione letteraria, possa essere il risultato di esperimenti di impianto genetico, avvenuti in chissà quale epoca e ripetutisi a più riprese. Ma crederci o meno non è qui importante: quel che preme sottolineare è, piuttosto, il complesso intreccio con cui la storia è architettata, con due fasi storico-temporali che fanno capo al medesimo evento iniziale, ossia la creazione di individui “misti”, frutto di tecniche di ingegneria genetica ante litteram. D’altronde, siamo o no nel campo della scienza di confine?

Immaginatevi un tale essere, dotato di capacità superiori, a metà del 1500. Troppo facile attribuirgli poteri satanici, accusarlo di oscure pratiche di magia nera, farlo passare, come nel caso di specie, per una strega. Insomma, la creatura nata da questo folle esperimento molecolare non può cavarsela in una società dove basta poco per andare sul rogo, dove a farla da padrone ci sono i guardiani severi della Santa Inquisizione. E così finirà, inevitabilmente. Salvo per poi ritentare il medesimo esperimento mezzo millennio più tardi, in un contesto terrestre più progredito e “pronto”, terreno maggiormente fertile per l’intromissione aliena a larga scala. Ma perché tutto ciò, direte voi? Forse perché la sete di potere è uguale in ogni dove? In questo caso, invece, è per pura sopravvivenza: quella lontana stella sta per collassare e, spinta primigenia di qualsiasi essere vivente, gli abitanti di quel mondo cercano una via alternativa per perpetrare la propria stirpe.

Miriam-Naima, le due alter ego di questa vicenda dal lungo respiro spazio-temporale, sono quindi la stessa persona, “reimpiantata” più volte in ospiti umani differenti, con la cui struttura psico-fisica devono però convivere. E non è detto che il “diverso” possa avvalersi della sua superiorità per dominare sulla terra… no, perché il lato umano di questa sorta di replicanti ha il suo rilevante peso specifico, che tende a ibridare quello alieno.

Insomma quello che sembra suggerirci Maria Grazia, alla fin fine, è che tutto ruota intorno all’unicità dell’essere, dotato di una personalità unica e irripetibile, monade incarnata e insostituibile anche a dispetto di un mondo di cloni. E’ così che Naima si renderà indipendente, affrancandosi dal passato, scavalcando il dilemma della sua duplice natura, trovando in fondo ciò che tutti cercano: se stessi.

L’opera di Maria Grazia è insieme romanzo storico e genere fantasy, ed è proprio questo connubio tra reale collocazione storica e fiction narrativa a costituire l’elemento peculiare del racconto, non privo di accesi momenti sensuali e di piccoli ritratti naturalistici. Non si ravvisa, va detto, un sottofondo culturale di riferimento; non interessa all’autrice imbarcarsi in citazioni e dichiarazioni d’amore letterarie, le interessa esporre in modo netto i suoi interessi, le passioni di una vita. E lo fa in modo chiaro, con un linguaggio concreto e lineare, senza sbavature.

Maria Grazia è stata amica cara e di lunga data, di cui ben conoscevo il retroterra culturale di origine, anche grazie alla sorella Paola, mia compagna di studi universitari. Quelle montagne carsolane della misteriosa Madonna del Monte, popolate di leggende di briganti che lei stessa racconta nel suo romanzo “Il brigante Dummì”, fanno da sfondo a personaggi metastorici dai connotati fantastici, che per la scrittrice rappresentano un viatico nell’asperità della vita, un atto d’amore per la sua terra: “i monti carsolani, in gran segreto, mi raccontano le storie del passato e soprattutto mi trasmettono un’infinita dolcezza”. Tante volte sono stato ospite presso la sua famiglia, purtroppo funestata anche da eventi tragici, godendo di belle escursioni nei dintorni dell’antico paese “della volpe o del lupo” di Ovidiana memoria, quel lupo che Maria Grazia stessa riteneva animale fantastico, da sempre a fianco dell’umanità.

Maria Grazia è venuta a mancare pochi mesi orsono, in silenzio, cogliendo di sorpresa anche le persone più vicine, lasciando una scia nostalgica di fotografie immaginarie dove la vedo passeggiare in montagna, curare i suoi gatti, combinare alchimie con le pietre, recitare in teatro, parlare alla radio, scrivere. Ricorderò sempre con affetto e tenerezza i nostri scambi, le conversazioni, progetti; i suoi incoraggiamenti nel momento in cui mi affacciavo al mondo dell’editoria, le sue richieste di consulenza, la sua ironia: Tu devi fare una scelta, mi diceva, essere poeta o narratore. E perché, replicavo, non tutte e due le cose? Già, perché non armonizzare due anime distinte e complementari? Ognuno di noi, così come forse ogni cosa, si confronta con la sua natura duplice, nell’inseguimento perpetuo degli opposti, nella ricerca continua di un equilibrio precario. Come la sua Miriam-Naima, che vagò tra mondi ed epoche, o come le dimensioni parallele che la affascinavano irresistibilmente, e che spero le abbiano donato, come desiderava, un infinito abbraccio di luce.”

Roberto Maggi

N.d.d.r. (Nota del Direttore)

Il ricordo che lo scrittore e poeta Roberto Maggi traccia della scrittrice Maria Grazia Di Marzio, ci avvolge in una determinata atmosfera. Quella in cui i pensieri e le riflessioni della scrittrice prematuramente scomparsa nei giorni scorsi caratterizzavano luci ed ombre. Maggi riesce con questo ricordo a toccare moltissime corde sensibili che detenevano il primato nel voler trovare la ragione nell’esercizio di un ricorrente dubbio che assale chi ragiona sulla vita. 

Il riferimento narrativo è “Venuta da lontano“, una delle opere letterarie della scrittrice romana di adozione ed abruzzese di nascita. E come in tutti gli altri libri di cui è stata autrice il filo conduttore anche per questa pubblicazione è magico, surreale, ci pone di fronte ad un livello di approfondimento interiore, superiore, distaccato dalla banalità del viver quotidiano. 

Maria Grazia è volata in una altra dimensione, in punta di penna, in una piena emergenza nella quale non l’abbiamo potuta piangere nemmeno come avremmo voluto. Il distacco dalla vita terrena è avvenuto con lo stesso stile garbato e ossequioso, talvolta divertente che ha mantenuto nei rapporti con gli altri. 

La connessione con il modo espressivo dell’arte, della scrittura, dell’interpretare parti, nello scrivere poesie nel leggerle, nel renderle vive caratterizzava l’autrice dotata di capacità poco comuni. 

Ed ora che non è con noi e volata in quei mondi intergalattici cui fa riferimento Roberto Maggi, il mondo degli amici, ma quello della cultura romana si accorge sempre di più quanto manchi all’appello del viver quotidiano. 

Gli scrittori, così come i pittori, segnano un passo indelebile: le proprie opere che non muoiono insieme al corpo, ma continuano a vivere trasmettendo quelle stesse emozioni che ne hanno originato la composizione dei testi durante la diversità degli attimi di vita. 

Maria Grazia Di Marzio dunque riesce ancora ad essere con noi, in una forma diversa e dalla pace della ragione ci lascia una grande eredità: saper pensare, interpretare e confrontare una cultura che non deve essere dispersa ora più che mai. 

Ciao amica mia, ancora una volta con commozione che penetra nel cuore ti colleghiamo ai nostri pensieri.”

Daniele Imperiale 

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